Capita a tutti gli scrittori prima o poi, dal più geniale al più mediocre. Arriva sempre quel giorno in cui pensi di non saper più scrivere. Ogni rigo che butti giù ti sembra mal scritto, banale, insignificante. E il foglio bianco, vero o digitale che sia, diventa il tuo peggior nemico. E non è che succede perché tu non abbia niente da dire, ma semplicemente perché non credi più nelle tue capacità.
Ho scritto decine di articoli, migliaia di post, qualche racconto, ma da mesi ho perso la voglia e la determinazione per scrivere qualsiasi cosa. Prima mi capitava di iniziare a scrivere se ero triste, felice, arrabbiata. Adesso nelle stesse situazioni, davanti a quegli stessi sentimenti la parola scritta non mi sembra più così efficace. E' un periodo così: vuoto. E forse il mio silenzio, il mio appendere la penna al chiodo ha più significato dei miliardi di parole che ho tracciato e digitato negli ultimi vent'anni. Semplicemente sono stanca, non ho più voglia di lottare, nemmeno dalla comodità di una poltrona di casa. Scrivere, faticare per trovare le parole più efficaci per esprimere ciò che penso e che provo, non mi riesce più, non mi suscita più nemmeno quel moto d'orgoglio che un tempo mi faceva pensare "Però! Sono brava!".
Lo stesso mi è successo con la lettura: quei mondi fantastici non bastano più per arginare la mia tristezza, la mia amarezza, la mia riluttanza al mettermi in gioco.
Le discussioni mi hanno negli anni fiaccata, le delusioni mi hanno portata a credere nell'ineluttabilità dei mali del mondo, la paura di fallire mi impedisce di tornare ad essere quel che avrei sempre voluto essere, una cittadina impegnata.
Non scrivo, non leggo, fatico a vedere i film. L'arte, così importante nella mia vita di un tempo, l'ho relegata nei ritagli di tempo, nei quali non sempre mi ci dedico. E perché dovrei? Gli artisti sono una masnada mista di ingenui e falsi profeti, che si chiudono nel loro mondo dorato e criticano la massa dalle loro torri d'avorio, vendendo e vendendosi, insultando così per primi il loro stesso lavoro.
Che dire poi degli scienziati? Sì, anche la categoria alla quale appartengo formalmente è fallace; anch'essi imprigionatisi in un universo di duro lavoro con una determinazione quasi messianica, faticano a integrarsi col mondo a loro vicino. Di fatto, fuori dal laboratorio non vivono e conducono esistenze più vuote di tanti ignoranti patentati, che, per lo meno, rimangono coerenti a se stessi.
Che senso ha quindi che io torni a scrivere? A cosa può servire in un mondo in cui il rispetto, l'educazione e il buon senso non esistono più? Sono un'aliena in mezzo a quest'umanità, che forse non merita e non vuole né consigli, né aiuto. E poi: chi dice che io sia in grado di dargliene? E quindi sono qui dimessa, come Marino (non a caso lo chiamano "il marziano" anche lui), ad aspettare un solo segno che mi dica che mi sto sbagliando. Aspetto qualcuno che mi ascolti, che mi dica che ne vale ancora la pena, se non per gli altri, almeno per me. Aspetto chi mi possa illudere che questo mondo può ancora cambiare.
E mentre aspettavo ho lanciato questo messaggio in bottiglia, sperando che ci sia chi lo raccolga, capisca e mi convinca a tornare alla vita...