Che la diversità sia una ricchezza è luogo comune degli uniformati. È facile da "eguale" parlare di come essere tutti diversi sia una cosa bellissima e in linea teorica è anche ampiamente condivisibile. Ma quando vivi la condizione del "diverso" sei combattuto tra due sentimenti opposti: quello di invidiare chi non è diverso e voler a qualsiasi costo essere al suo posto e quello, soprattutto nei momenti di rabbia, di voler rivendicare, ostentare e vantarsi di quella diversità, come fosse la bandiera di una libertà che in fondo agli "eguali" non è concessa. Quale delle due anime vinca, dipende da soggetto a soggetto.
Nel mio caso ho sempre cercato di integrarmi fin da quando sono venuto al mondo, se così si può dire, ma allo stesso tempo col mio comportamento ho inavvertitamente (o forse no?) finito per porre l'accento sulle mie differenze. E più volevo essere uguale, più apparivo distante e alieno dagli altri. Più di una volta devo ammettere che a tu per tu anche altri miei simili (o dissimili) sembravano porsi i miei stessi interrogativi e arrovellarsi sui miei stessi dubbi, ma una volta tornati nella massa diventavano di nuovo parte di essa, se per trasformismo e falsità, o per mera sopravvivenza non saprei dirlo. In fondo cosa c'è di male a mischiarsi? Di base niente. Ciò che è uniforme è anche bello, per i canoni universalmente accettati. Ma è davvero così? Quanti direbbero che la Venere di Botticelli è brutta? Pochissimi. Eppure a guardarla bene ha il collo troppo lungo, le spalle troppo strette e le gambe asimmetriche, povera ragazza, ma nessuno lo nota. Io ho sempre notato il suo sguardo triste e perso nel vuoto. È appena nata e già la invitano a coprirsi, come se già da subito le spiegassero l'antifona: se vuoi stare al mondo è bene che impari a mascherarti, essere nudi, essere se stessi è disdicevole, nonché pericoloso...
Come la goccia di pittura colorata in mezzo a quella bianca finisce per sparire, così sembra che il mondo mi richieda di essere un nessuno in mezzo ad altri nessuno. Ovvio che in una società così complessa ci sia bisogno di regole e io sono il primo a rispettarle con convinzione. Ma se questo va bene per il vivere civile, è comunque giusto per il vivere intimo e personale? C'è davvero bisogno di tutta questa uniformità di pensiero e comportamento? Mi sono chiesto più di una volta se riuscire ad esser come gli altri mi avrebbe reso per lo meno felice. Forse sì. Ma si può davvero esser felici quando ci si nasconde e si nega se stessi?
Per ora non mi sono risposto."
Da MUTEK
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