martedì 13 maggio 2014

Infermità

C’era una volta un ragazzo… Era un bel ragazzo: capelli castano chiaro, occhi azzurro cielo. Ma aveva un difetto: una testa enorme, talmente enorme che gli pesava e gli ciondolava sul collo. Era riuscito, nonostante questo, a farsi degli amici, ma in fondo tutti, anche chi gli voleva bene, continuava a considerarlo un po’ strano.
Chi lo guardava, pensava che avesse una malformazione dalla nascita. Invece non era così. La verità era che fin da bambino aveva sempre pensato tantissimo… La testa gli si era riempita di idee, progetti, invenzioni, storie, riflessioni e quindi aveva cominciato a crescere, crescere, crescere. Lui sapeva che il problema era quella sua abnorme attività intellettuale, ma non riusciva a smettere di pensare e la sua testa si ingrandiva di un centimetro l’anno. L’unico modo che aveva per diminuire le dimensioni del suo cervello era tirare fuori ciò che c’era dentro, e allora scriveva, disegnava, parlava… Ma non bastava: per un’idea che esponeva, se ne creavano dieci nuove.  E poi gli piaceva troppo leggere, conoscere, informarsi… Non sapeva come fare!
Questa sua caratteristica lo faceva, ovviamente, sentire un emarginato. Non solo era strano esteticamente, ma quando cercava di liberarsi di tutti quei pensieri raccontandoli a qualcuno, quello non capiva!
“Morirò schiacciato dal peso della mia testa! Non c’è nessuno che voglia aiutarmi…” si lamentava nei momenti di sconforto, davanti allo specchio, rimirando quella sua enorme fonte di dolore.
“Perché non sono nato stupido e superficiale come gli altri? Adesso sarei felice… “.
La cosa brutta era che più era triste, più pensava e più pensava, più la sua testa cresceva e lui diventava triste.
Un giorno, più abbrutito del solito, pensava a quanto fosse ingiusta la sua sorte e, con la testa che gli ciondolava, un po’ per il peso, un po’ per la tristezza, non guardava dove stesse andando… e SBAM!
“Ehi attento! Ma non guardi dove vai?” Aveva urtato una ragazza.
“Scusa, ma ho un po’ di difficoltà a tenere gli occhi alzati…”
La sconosciuta lo squadrò: “Beh ti capisco, ma provaci, no?”
“Perché dovrei? Tanto a nessuno importa di me!”
“Quanto pessimismo!”
“Parli bene tu: hai una testa normale!”
“Ahahahah…normale io? È una parola grossa per i miei standard!”
“Non hai una testa di 43 chili da portarti dietro!”
“Questo lo dici tu! Dai, aspetta, mettiamoci a sedere su quella panchina, così parliamo, ti va?”
“Sei davvero poco normale… potrei essere un malintenzionato! Ma se insisti... tanto non ho molto altro da fare…”
“Vieni musone, vieni! Dimmi… la tua è una malattia?”
“Beh, molti la considererebbero una malattia…”
“In che senso? Lo è o non lo è?”
“Dipende… Vedi io sono così, perché penso troppo!”
“Allora magari fossero tutti malati come te!” rise.
“Beh… Avrebbero tutti la testa come la mia, è invalidante, sai?”
“Ti capisco, la mia intelligenza e la mia cultura lo sono anche per me…”
“Non sembra… la tua testa è normale!”
“Beh solo perché è il materiale che c’è dentro è altamente compresso, non vuol dire che sia vuota…”
“Che vuoi dire?”
“Che anche il mio cervello cresce costantemente, ma lo fa aggrovigliandosi su stesso… invece di crescere verso l’esterno, lo fa verso l’interno… un sacco di circonvoluzioni, per aumentare la superficie… Sai in media il cervello delle donne è più piccolo, ma più elaborato nella forma…”
“Ah sì?”
“Certo… comunque questa crescita continua non si vede come la tua, ma mi causa incredibili mal di testa, che tengo a bada solo grazie alla mia grafomania.”
“Tu scrivi?”
“Sì: altrimenti sarei già impazzita. Poi ho provato con la politica, sai, pensando che esporre le mie idee mi avrebbe aiutata… per un po’ ha funzionato, ma quando le persone non ti ascoltano, non serve molto parlare…”
“Hai ragione…”
“Perché non racconti a me le tue idee: ti ascolto volentieri… Poi io ti racconto le mie… magari ne sviluppiamo di nuove insieme…”
“Ma non c’è il rischio che mettendo insieme le nostre idee la nostra testa cresca ancora di più?”
“Beh il rischio c’è… ma l’alternativa qual è? Se nessuno ci ascolta, crescerà comunque… Almeno così abbiamo la soddisfazione di essere ascoltati… e, se ci ho visto giusto, anche compresi…”
“Magari…”
E così i due ragazzi cominciarono a parlare e ancora oggi dopo tanto tempo continuano a farlo. L'intuizione che lei aveva avuto funzionò e le loro idee, rafforzatesi, si affinarono, eliminando i pensieri superflui. In poche parole i loro cervelli operarono una deframmentazione, stoccando al meglio idee, progetti, storie…
La testa di lui divenne di dimensioni normali, quella di lei smise di dolere così spesso, ma comunque la loro “stranezza” agli occhi degli altri rimase. Anzi, si consolidò: le idee che esponevano non piacevano, non venivano capite. Ma loro insieme si sentivano più forti e decisero di mettersi alla ricerca di persone come loro. 
Al momento non hanno avuto molto successo, ma sono decisi a continuare a diffondere le loro idee e conoscere cose nuove, perché sono fermamente convinti che intelligenza e cultura siano i principi fondamentali della vita.


lunedì 28 aprile 2014

Lettera a un uomo eccezionale

Caro nonno,
mi fa uno strano effetto scriverti, dato che non ci sei più. Te ne sei andato in un grigio pomeriggio di sette anni fa, un pomeriggio come questo. La tua morte era annunciata, certo, ma ci colse tutti abbastanza impreparati. Le conseguenze della tua dipartita sono state disastrose, per questo sono contenta che tu non abbia assistito allo sfacelo degli ultimi anni. Devo confessarti che ancora ce l’ho un po’ con te per avermi lasciata così, in piena adolescenza, in un mondo che difficilmente riesce a comprendermi. Tu invece mi capivi e mi guardavi fiero e soddisfatto quando ti raccontavo delle mie piccole battaglie. Senza togliere di rispetto a nessuno, penso di essere la nipote che più ti somiglia… Ho ereditato da te quella voglia di combattere che ti ha accompagnato fino all’ultimo giorno, quando con un filo di fiato mi dicevi “Sono arrivato qui con l’ambulanza praticamente morto… Ma ora sono vivo!”.
Mi ricordo il tuo sorriso a presa di giro, la tua generosità, le tue dimostrazioni di affetto… Abbiamo passato insieme tanti bei momenti, da quando mi portavi ai giochini in piazza Tasso, dopo la scuola, a quando prima del tuo riposo pomeridiano mi raccontavi le tue storie... Erano storie inventate, dove però in qualche modo risultavi protagonista e mi faceva tanto ridere il tuo egocentrismo… Mi sa che anche quello l’ho ereditato da te! E poi c’erano i racconti di vita vera: la guerra, la povertà, la Resistenza, il processo che hai subito ingiustamente e in cui ti sei difeso da solo, la lotta nel partito nel ’68, le mille donne che hai avuto…
Raccontavi molto, ma ti piaceva anche ascoltare… Ti parlavo di quel che studiavo a scuola e tu, nella tua grande giovinezza di spirito, ti divertivi a vedere il mio entusiasmo nell’imparare. Eri un gran nonno, un grande capofamiglia e una persona eccezionale… Anche nei tuoi sbagli, eri, alla fine, coerente con te stesso e, cosa che ti invidio tantissimo, soddisfatto della tua vita e delle tue esperienze….
Hai sofferto molto negli ultimi anni, legato a quella sedia maledetta che ti aveva tolto anche la dignità, ma dentro il tuo spirito non era cambiato: fiero e libero, come a vent’anni!
Penso che insieme a Zorro, tu sia stato il mio eroe preferito nell’infanzia. Avevi vissuto in una realtà violenta, ma mi hai sempre insegnato che è con le parole che si sconfiggono davvero le ingiustizie.
Ed è così che cerco di fare ogni giorno, scrivendo e partecipando il più attivamente possibile alla vita politica e sociale della mia (e tua) Firenze. Però mi manca confrontarmi con te e spesso mi chiedo cosa penseresti della situazione dell’Italia di oggi. Mi ricordo la tua rabbia e la tua amarezza vedendo le immagini dei pestaggi del G8 di Genova, quindi probabilmente è meglio che tu te ne sia andato prima di vedere l’attuale realtà.
Dopo sette anni ancora non ho avuto il coraggio di andare sulla tua tomba…. E dire che vado spesso da quelle parti! Forse perché ancora non ho accettato che tu sia morto… La realtà è che mi manchi: crescere senza il tuo appoggio è stato veramente difficile… Avrei voluto vederti contento il giorno che mi sono diplomata e ancor più vorrei vederti a luglio, il giorno della mia laurea…
Non credendo a un Aldilà, non posso dire che tu vegli su di me, ma sono sicura che i tuoi insegnamenti mi aiutano ogni giorno nelle difficoltà che la vita mi presenta… Quindi in un certo senso è come se tu vivessi in me e mi impegno ogni giorno per poterti immaginare fiero delle mie scelte… Avrei avuto piacere di presentarti l’ultima, di scelta: sono sicura che approveresti!
Non so come accomiatarmi (come si saluta un morto?), ti dico solo che ti ho voluto un gran bene e ti ringrazio: sei stato una grande guida e un grande maestro…
Un bacio

La “Piccina”

mercoledì 9 aprile 2014

Il prigioniero

Era seduto nell’angolo più buio della sua cella. Singhiozzava sommessamente. Sentì il cigolio di una porta che si apriva. Ecco la sua carceriera.
“Liberami, ti prego..”
“Perché insisti? Sai che non posso.”
“Puoi… E’ solo che non vuoi!”
“Ti rendi conto che ho una reputazione? Se ti liberassi il mondo verrebbe a sapere di te. Non me lo posso permettere…”
“Invece sì, sei forte…”
“Sono 24 anni che se chiuso qui dentro e ancora non ti sei rassegnato. Non ti libererò mai!”
“Per favore… ti imploro! Sto stretto. E’ buio. Sono… stanco di stare da solo..”
“Ci sono io con te…”
“Lasciami andare.”
“No. Non posso. Cosa faresti fuori di qui? Sono io che ti do da mangiare.”
“Se io non ci fossi staresti meglio anche tu!”
“No. Sono talmente abituata ad averti qui, che mi sentirei persa…”
“Non è vero. Ti toglieresti un peso. Io sarei libero. Tu anche.”
“Se ti facessi uscire, se rivelassi a tutti la tua esistenza, perderei amici, famiglia… Perderei lui…”
“Non credo. Le persone che ti amano, ti resteranno accanto. Credi che non l’abbiano capito che tieni qualcosa nascosto? Credi che non mi abbiano scorto da quelle feritoie? Credi che non abbiano udito i miei lamenti, quando tu non insonorizzi le pareti?”
“Forse hanno capito che ho un segreto, ma non ti hanno visto per quello che sei. TI terrò per sempre qui. Non uscirai mai. Ti porterò con me nella tomba se necessario…”
“Fai più male a te stessa che a me… E lo sai!”
“Ora basta…”
La carceriera chiuse la porta. 

Lontano dallo specchio, il mostro riflesso nei suoi occhi scomparve, rinchiuso di nuovo nella prigione della sua mente.

martedì 8 aprile 2014

Riflessioni...

Non so cosa ancora mi spinga a fare ciò che faccio.
Non so cosa mi faccia continuare a interessarmi, informarmi e informare.
Non so perché sto prendendo una laurea, pur sapendo che non avrò un lavoro.
Non so perché non mi voglia rassegnare al mondo che mi circonda.
Non so perché ancora non mi sono arresa.

Eppure sono cosciente che un mondo migliore non E' possibile. L'evoluzione è troppo lenta perché la si possa apprezzare nel corso di una sola vita. Il mondo occidentale non ha fatto molti passi in avanti rispetto ai tempi dell'impero romano. La differenza sta, forse, nel fatto che all'epoca la cultura era molto più "di massa" ed era considerata importante. Adesso no. Adesso, nonostante tutti i mezzi d'informazioni che la tecnologia ci fornisce, tendiamo a standardizzarci al ribasso. Chi non ha cultura ostenta con determinazione la propria ignoranza. Chi, invece, ha cultura ne fa sfoggio solo per umiliare chi non ce l'ha e non la condivide. Il qualunquismo e il populismo dilagano, anche tra le persone che dovrebbero aver studiato di più.
Il razzismo, l'omofobia, il sessismo sono ancora radicati nella nostra mentalità. Abbiamo la corruzione nei geni prima ancora di nascere, l'istinto del "più furbo" ci fa rovinare ogni aspetto della nostra società, dalla pubblica amministrazione, alle istituzioni, dal commercio, alla politica.

Mio nonno era partigiano, mio padre un "quasi sessantottino" e altri come loro. I miei nonni e i miei genitori mi hanno insegnato dei valori. Perché i miei coetanei non sono come me? Perché mi sento così sola? Dovunque vada, in qualunque ambiente vedo un pensiero unificato, un andare CONTRO qualcuno o qualcosa, mai un lavorare PER qualcosa. Tra gli ignoranti e i poveri vige una sorta di legge del più forte: manca la solidarietà, manca la collaborazione. Basti vedere l'atteggiamento verso gli immigrati, considerati l'unica causa della disoccupazione degli italiani. E poi c'è la sfiducia e il disprezzo verso lo Stato, una "diseducazione civica". Questo forse è il danno più grosso, che influenza a società a tutti i livelli dal netturbino al manager. Nessuno si rende conto che lo Stato è fatto di persone e che se ogni persona pensa solo al suo interesse individuale si va poco lontano.

La cosa che più mi sconcerta, forse per gli studi che faccio, è l'atteggiamento antiscientifico predominante degli ultimi tempi e soprattutto delle nuove generazioni. Se l'oscurantismo religioso ha ripreso campo negli ospedali e nei consultori ginecologici, il nuovo oscurantismo, quello della "Santa Rete", è ormai diffusissimo un po' dappertutto. Si nega l'efficacia dei vaccini, ci si converte vegetariani, si nega la storia. L'informazione "ufficiale" viene denigrata, in favore della "libertà di internet", dove, però, si trova solo un guazzabuglio di informazioni vere, presunte, totalmente false, per lo più prive di fonti attendibili.
Si tende a non credere al telegiornale, perché "servo del sistema", né agli insegnanti, né ai medici o agli scienziati (di sicuro collusi con l'industria farmaceutica), ma alla prima bufala offerta dalla rete ci si crede subito. Se provi a opporti nel peggiore dei casi vieni considerato un disonesto, nel migliore un idiota.

Gli ambienti intellettuali sono chiusi e settari, siano essi di tipo musicale, letterario o scientifico, come se la cultura non fosse un bene comune, ma appannaggio di pochi eletti, che, tra l'altro, ne conoscono solo una parte, senza avere la visione d'insieme.
I pochi insegnanti seri rimasti non hanno armi: il loro ruolo è completamente svalutato, il loro stipendio, pure. Nessun professore si può più permettere di mettere una nota sul diario, che subito si trova i genitori a protestare. Genitori che, però, a casa non si occupano dell'educazione dei loro figli, ma li lasciano allo stato brado, più impegnati a comprarsi il telefono da 700 euro (magari aprendo un finanziamento) e a lamentarsi dell'elevato costo dei libri scolastici, piuttosto che a star dietro ai bambini.

I giovani di valore che abbiamo se ne vanno all'estero, a contribuire al PIL di altri stati. Scelta comprensibile, ma che provocatoriamente mi permetto di contestare: se le migliori menti che abbiamo se ne vanno, qui chi rimane?

L'imprenditoria italiana è poco lungimirante: si pensa all'uovo oggi, quel che succede alla gallina domani non è affar mio. Non si investe in ricerca, né in innovazione, né in capitale umano, si tende ad accumulare ed arraffare il più possibile, magari prendendo sovvenzioni statali, o mandando i dipendenti in cassa integrazione, tanto alla peggio si apre una fabbrica in Polonia o si fa  bancarotta fraudolenta e si scappa a Rio. Credo che Olivetti si rigiri nella tomba ogni volta che appare Marchionne in tv o viene intervistato.

La politica non esiste. Se non in qualche realtà ristretta di gente che "ancora ci crede" e che è l'unica che riesco a stimare. La maggior parte delle persone non si interessa a ciò che succede, se non per lamentarsi, dire "son tutti uguali", o votare quello che gli ha promesso qualcosa. Oppure non vota, salvo poi continuare a recriminare. Poi ci sono i cosiddetti "anti sistema", quelli che fanno i comunisti radicali, gli anarchici dell'ultim'ora, spaccano vetrine e bancomat, scrivono "eat the rich" sui muri e poi si godono la borsa di studio all'università, pagata dalle tasse dei normali contribuenti. E i radical chic? Quelli parlano, parlano, parlano nelle loro torri d'avorio, sempre con distacco da quello che succede, ma in quanto a sudare per cambiare le cose, non se ne parla. E i politici di professione? I molti disonesti scelgono tale carriera per puro arrivismo, per collusione con la criminalità, per amore del potere. I pochi onesti si ritrovano in un sistema già marcio: spesso se provano ad alzare la testa, questa gli viene tagliata, per cui spesso si adeguano, chiudendo un occhio, o anche due. Poi ci sono gli incompetenti, quelli fanno casini un po' ovunque.

Le forze dell'ordine. Non mi sono mai state particolarmente simpatiche, però è innegabile che servano, soprattutto in un paese come il nostro. Tra di loro ci sono fascisti, picchiatori, delinquenti autorizzati. E poi ci sono quelli onesti, che rischiano la vita ogni giorno per due lire. Penso a Salvo D'Acquisto e mi scappa la lacrimuccia.

E mi chiedo come si sia arrivati a tutto questo. Insomma: abbiamo sconfitto il fascismo. Abbiamo creato lo Statuto dei Lavoratori. Abbiamo una Costituzione fantastica (ancora per poco, temo). E allora? Perché le persone che hanno lottato per tutto questo non hanno insegnato ai loro figli a mantenere i diritti duramente conquistati? Perché non gli hanno insegnato a rispettare le istituzioni di questa Democrazia ottenuta col sangue? Perché i figli di chi ha lottato per la legge sul diritto all'aborto sono tutti obiettori?
L'unica cosa che mi vien da pensare è che queste conquiste le abbiamo ottenute con lotte sudate e impegnative, ma la maggior parte di chi ha partecipato non lo faceva con convinzione e con coscienza. Altrimenti non sarebbe possibile.

E quindi, arrivati a questa conclusione, cioè che la maggioranza è solo "volgo disperso" come diceva Manzoni, io perché ancora combatto? Perché ancora cerco di spiegare le mie convinzioni? A che serve il mio impegno, il mio sacrificio, il mio tempo?

Non so rispondermi. Però continuo. Perché è giusto, anche se questo mondo non se lo merita, come non si è meritato Fanciullacci, Berlinguer e Olivetti. Ho la presunzione, però, di pensare che io sì, ho imparato qualcosa dai loro insegnamenti e da quelli che la mia famiglia ha tentato di instillarmi. Per cui ancora combatto, se non è per salvare il mondo, sarà per morire con la coscienza pulita per averci almeno provato.

venerdì 28 marzo 2014

Alieni

C’era quasi. Mancava poco. Era al suo ultimo mese di servizio e poi congedo illimitato. Si sarebbe potuto godere sua moglie, sua figlia, cane e giardino.
Aveva scelto l’aviazione cinque anni prima, appena laureato all’università di ingegneria. Gli avevano proposto un servizio quinquennale a 5000 crediti al mese, per pilotare le nuove AB 530, navi spaziali che lui stesso aveva contribuito a realizzare durante il dottorato di ricerca. Aveva accettato subito, di comune accordo con la sua neo moglie, Sarah: con quello stipendio si sarebbero potuti comprare una casa decente e lei non avrebbe dovuto fare un lavoro che non le piaceva, ma continuare a insegnare all’Accademia di Belle Arti e dipingere. Avrebbero fatto il sacrificio di vedersi solo per due settimane l’anno, investendo tutto su quel progetto.
Così era stato. Erano passati cinque anni da allora e si sarebbe potuto dedicare finalmente alla sua famiglia e a ciò che gli piaceva davvero: scrivere. Ma l’alto comando gli aveva chiesto un ultimo favore: una missione speciale, che solo un pilota esperto come lui avrebbe potuto eseguire. In sé era una cosa semplice, arrivare, atterrare, prendere un paio di campioni, posare una bandiera e tornare, però gli avrebbero dato un bonus di 15000 crediti, da aggiungere al suo buonuscita. E aveva accettato: un mese in più non gli sarebbe costato nulla e in fondo andare su un pianeta disabitato a fare rilievi non gli sembrava un sacrificio poi enorme.
Entrò nell’orbita del pianeta. “Che bello, però!” pensò mentre preparava le manovre di atterraggio.
La nave atterrò dolcemente su un tappeto verde di “Erba?!?” pensò. “Allora c’è la vita su questo pianeta remoto! Chissà che faccia faranno il colonnello e il comitato scientifico quando gli porterò i campioni!”
Aprì il portellone ed uscì: si trovava in una radura circondata da bellissimi alberi di latifoglie. All’orizzonte, montagne innevate. “Cavolo, ma qui c’è un intero mondo! E c’è… un’atmosfera! E’ incredibile, bellissimo…”
“Sjjbksdgksdnvslki! Sjnsdnvhfskvn!”
Si voltò: era circondato da una trentina di mostri che gli puntavano addosso quelle che sembravano armi.
“Ma questo pianeta non era disabitato?!?” pensò mentre un rivolo di sudore gli scendeva lungo la schiena. “Sono un ingegnere, uno scienziato… non sono un soldato! Che gli dico ora a questi? Parlano anche una lingua strana… Attivo il traduttore e provo a vedere se con la diplomazia risolvo qualcosa…”
“Chi sei?” disse uno degli alieni.
“Almeno il traduttore pare funzionare” pensò e rispose: “Sono l’astronauta Paul Fingers. Faccio parte del comitato scientifico del mio pianeta...”
“Comitato scientifico? Un mostro come te? Ahahaha… Arrestatelo! Portatelo alla base. Se oppone resistenza uccidetelo! Alla peggio lo studieremo da morto!”
“No, aspettate… io… vengo in pace…”
“Stai zitto mostro! ”

“Mostro io? Ma si sono visti? Pelle rosea, peli sull’unica testa, due soli occhi, due braccia, due gambe…  E poi… Chissà che civiltà retrograda devono essere, visti i modi che hanno!”

venerdì 21 marzo 2014

Aut aut

Si svegliò riposatissima. Non fece suonare la sveglia due volte e si alzò quasi di scatto. Andò in bagno e si soffermò davanti allo specchio: la lastra argentea le rimandava un volto sereno, occhi grandi, niente borse, i capelli castani decisamente in ordine per essersi appena alzata. Si lavò con acqua tiepida e si riguardò: il viso sorridente era sempre lì, non un cattivo pensiero incrinava il suo sguardo, nessuna righetta di preoccupazione piegava la sua fronte. "Visto? Ho preso la decisione giusta!" , sorrise al suo riflesso, che, a sua volta, sorrise. Guardò fuori dalla finestra: era una bella giornata. Fece colazione, una tazza di tè e due biscotti: bastavano.
Si infilò i suoi pantaloni, taglia 44: aveva perso 20 kg da quando aveva preso quella decisione. Finalmente era tornata al suo peso forma.
Mentre raccoglieva la biancheria sporca, l'occhio le cadde sul cofanetto posato sul comodino. "Non aprirlo" si disse "ormai non ti serve più." Si avvicinò, lo sfiorò: poteva quasi sentir il contenuto all'interno muoversi. Resistette alla tentazione e non lo aprì. Rifece il letto, prese la borsa, già accuratamente preparata la sera prima, e uscì di casa diretta all'università. Non fece neanche cinquanta metri che, al semaforo più vicino si trovò davanti una scena agghiacciante: un camion aveva investito un motorino. Due ambulanze. Sette o otto tra medici e infermieri. Quattro carabinieri. Un uomo in lacrime. Un altro appoggiato al mezzo pesante che si teneva la testa tra le mani. A terra, coperto da un lenzuolo, un bambino. Intorno, un capannello di gente in silenzio, tutti troppo sconvolti anche solo per parlare. La ragazza guardò la scena con noncuranza. "Quante scene! Spero che lo portino via presto, sennò sai che ingorgo? E poi come ci arrivo in facoltà?"
"Scusi, signorina, che è successo?"
"Bah non so, un incidente credo... E' morto un bambino, pare..."
"Oddio ma è terribile!"
"Meglio lui che io..."
Il passante la guardò ad occhi sbarrati, si fece il segno della croce e si allontanò mormorando "Che mondo, che mondo...".
Il bus arrivò senza poi molto ritardo. Lei salì, si sedette. Arrivata, scese ed entrò nel blocco aule. C'erano cartelloni e striscioni dappertutto, ragazzi urlavano slogan, le stanze erano vuote o avevano la porta sbarrata.
Si avvicinò al ragazzo che sorvegliava l'ingresso dell'aula 10.
"Ehm, scusa...che significa?"
"Non lo sai? Occupiamo! Tra poco c'è l'incontro col rettore, vieni?"
"Che scempiaggini!"
"Mi vorresti dire che sei per l'aumento delle tasse del 20%?"
"Onestamente non ci ho pensato... dovrei essere contraria? Se hanno deciso così..."
"Ma non eri tu quella un mese fa intervistata dal TG3 a una manifestazione in favore della scuola pubblica?"
"A dire la verità sì... ma era prima che mi operassi..."
"O mi dispiace... Stai bene ora?"
"Benissimo, mai stata meglio! E adesso, potrei entrare?"
"Noooo, il blocco è occupato!"
"Ma io ho lezione!"
"Oggi no..."
"Insomma, io dovrei sprecare una giornata per le vostre stronzate?"
"Ma, ma... ti hanno operato al cervello, che hai perso la memoria? O ti hanno fatto una specie di convincimento, stile film complottista?"
"No, veramente, no...Va beh torno a casa..."

"Ma guarda questi idioti!" pensava di nuovo sul bus. "Occupare... Chissà che si credono?"
Un ricordo le sfiorò la mente. "Anch'io occupavo, manifestavo... Mi occupavo di politica, scrivevo articoli... e racconti. Prima dell'operazione facevo un sacco di cose! Ma perché le facevo? A che servivano? Ora che studio e basta vado molto meglio... Certo l'operazione è stata dolorosa, ma di sicuro un buon investimento. La mamma diceva di non farla, ma poi s'è convinta. Ora la vedo più tranquilla, contenta...tutti 30e lode!E io? Sono contenta? Non lo so, ma di sicuro non sono triste... Mi basta!"

Tornata a casa, si preparò il pranzo: un'insalata e una ricottina. Squillò il telefono. "Pronto?"
"La nonna... la nonna non c'è più..." il pianto dirotto di sua sorella all'altra parte della cornetta la infastidì.
"Ah... proprio mentre stavo per mangiare... Devo venire là? Per forza, eh? Va bene, prendo la macchina..."

"Proprio non capisco che mi chiamano a fare: se è morta ormai che le faccio?"
Passò dalla camera per cambiarsi la maglietta, non adatta all'evento tragico e di nuovo posò lo sguardo sul cofanetto.
Con aria di sfida, lo aprì e disse al contenuto "Sai? Ora che non ci sei più è tutto più facile... Non soffro, non piango, non mi arrabbio troppo, non mi viene voglia di sbattere la testa nel muro... L'ho dovuto fare, toglierti... Quando lui se n'è andato altrimenti non avrei resistito: mi stavi facendo del male... Insomma: ho pensato di uccidermi, ti rendi conto? Mi davi consigli sbagliati, non facevi il mio bene... Ora, senza di te, la mia vita è migliore..."

"Vita?" udì sussurrare da dentro la scatolina, "La chiami vita quella che fai adesso?"
"Ancora parli, non ti sei arreso?"
"Mai... del resto, non hai voluto liberarti di me del tutto, come se, in fondo, sapessi che non puoi fare a meno di me..."
"No, ti ho conservato a monito di tutta la sofferenza che mi hai causato. Per ricordarmi ogni giorno che ho fatto la scelta giusta..."
"Se te lo devi ricordare, forse non è poi così giusta, non credi?"
"Ma smettila! Mi hai stufato...sei monotono!" e richiuse il cofanetto che conteneva il suo cuore.

lunedì 17 marzo 2014

Spumante

Bollicine. Salivano nel bicchiere di spumante infrangendosi contro la superficie... ognuna di loro era un piccolissimo riflesso della sua faccia annoiata. Intorno a lei le chiacchiere postcena continuavano incessanti, ma ormai le percepiva solo come un brusio lontano... preferiva incantarsi a guardare le bollicine nel bicchiere...
"Come ci sono finita qui? Ho un bel vestito, belle scarpe, una bella borsa... tutte le altre donne sembrano divertirsi... ridono...Chissà cosa pensano realmente l'una dell'altra; anche se sembrano tutte amiche, come minimo si odiano... una invidia all'altra il conto in banca del marito, l'altra nota con disgusto la pessima rinoplastica della vicina... un mondo falso... Mi hanno presentato queste persone ieri e già ci hanno invitato a cena, a me e al mio fidanzato, in questo locale rumoroso e kitsch... Baci, abbracci...ma chi vi conosce? Lui ha detto che non gli piaceva, ma era necessario... -E' gente che conta...ci fanno un'ottima pubblicità... Sforzati di sorridere e tutto andrà bene - Ma come si fa a sorridere a queste oche e questi palloni gonfiati? Dicono che ci sponsorizzeranno, ma quanto sanno del mio lavoro? Niente... di grazia se distinguono un Leonardo da un Caravaggio... Ignoranti, borghesi e pure di destra... Che c'entro io qui in mezzo? Niente.."
Eppure c'era stato un tempo in cui non avrebbe venduto il suo lavoro, la sua anima a persone così... Un tempo in cui sognava un mondo migliore... Un tempo lontano... quando ancora stava con LUI...
"Chissà che fine ha fatto? Magari è un artista affermato, magari leggo le sue sceneggiature e non lo so... userà un nome d'arte per non farsi riconoscere... impossibile: io lo riconoscerei... so come scrive... no forse fa tutt'altro...tour musicali per l'Italia... oppure ha una famiglia dei figli... Sarà un ottimo padre... io invece..."
Lei, invece, i figli aveva deciso di non farli... o meglio il suo fidanzato aveva deciso così... "Sei una donna in carriera, non potresti starci dietro...aspetta almeno qualche anno..." Ma gli anni erano passati...troppi...e a 40 anni non era più il caso nemmeno di provarci... "Alla nostra età? Ma dai saremmo ridicoli... Fatti bastare i figli di tua sorella..."
LUI, invece, amava i bambini...a suo tempo avevano deciso anche i nomi... Ma perché cavolo l'aveva lasciato? A stento lo ricordava... le venivano in mente solo i momenti felici: viaggi, serate a guardare film, teatro, musica, nottate a scrivere insieme... "E' solo perché sono un po' giù...qualcosa di negativo doveva esserci sennò non l'avrei mica mollato.... Ora, in fondo, sono felice... o per lo meno...va bene così... la felicità è roba da ragazzini..."
Non era sempre stato così, però...una volta, con LUI, era stata davvero felice... Adesso lo era solo quando, di nascosto dal fidanzato, si divertiva a scrivere qualche raccontino... Le mancava la libertà di scrivere per sé, senza pubblico, senza scadenze... le mancava il fascino della pagina bianca... Adesso scriveva solo perché doveva, per un pubblico di gente odiosa, radical chic per lo più.. e le vendite non andavano nemmeno bene...Per questo era lì quella sera...ad elemosinare un nuovo sponsor... Il suo fidanzato non aveva mai letto niente di ciò che scriveva prima: si limitava a editare ciò che scriveva ora, ridimensionando i commenti troppo "scomodi" che ancora le venivano spontanei... "Non essere polemica, ma accomodante...vedrai che vendi di più... Gli devi leccare un po' il culo a questi critici, non sfotterli..."
E così scriveva in maniera meccanica di arte, di restauro, di cantieri... ma da anni non entrava in un laboratorio o saliva su un ponteggio... "Basta che scrivi...così hai tempo per le faccende... il pane in casa lo porto io..." E i suoi sogni d'indipendenza? E l'amore per la ricerca, la scienza? Li aveva abbandonati... dopo aver chiuso con LUI, aveva rinunciato a tutto il resto... Nel giro di due mesi aveva conosciuto un suo coetaneo...un bancario, laureato in economia e commercio: si entusiasmava solo leggendo registri contabili, considerava l'arte una perdita di tempo, aveva il giovedì con gli amici e qualche scappatella con le colleghe o con le ragazzine facili che abbordava nei locali... Non era perfetto, ma le aveva offerto una casa e una vita dignitosa... "Dignitosa... Dignitosa un accidenti! Ho rinunciato a tutto per quest'essere inutile... Non ho più sogni, speranze... non ho nemmeno più la forza di indignarmi... ci manca solo che voti Forza Italia e ho fatto... mi sono venduta... ma dovevo restare con LUI...era difficile, era una lotta, era dura...ma era autentico... era amore..."
Si alzò dal tavolo, con un sorriso falsissimo disse "Con permesso...vado a prendere una boccata d'aria: quest'afa mi uccide...". Uscì dal locale. Chiamò un taxi. Scese a casa. Fece le valigie: pochi vestiti, i libri, carta, penna. Erano le 3 di notte. "E ora dove vado?" Chiamò la sua migliore amica, che lui le permetteva di vedere solo una volta al mese. "Ciao A., scusa l'ora... no, sto bene...almeno credo... senti...ho bisogno di un posto per stanotte...grazie...arrivo...".
La mattina dopo si svegliò su un divano letto... "Buongiorno... ora mi racconti? Anzi no... forse finalmente hai capito... Era ora..." la sua amica sorrise... "Ti faccio un tè... poi il bagno è libero puoi farti una doccia...Ah: il tuo telefono ha squillato almeno 4 volte... era C.... ho spento... ho fatto bene?"
"Sì grazie... anzi dammi..." tolse la SIM e la gettò nel cestino... "Mi faccio la doccia e mi trovo una sistemazione entro una settimana, te lo giuro..."
"Non ti preoccupare..."
"No davvero...ho solo bisogno di un computer...voglio...voglio cercarlo..."
"Chi?"
"Lo sai..."
"Davvero? Ma è fantastico... come nei film... ma... e se?"
"Sì...so che corro mille rischi, ma non posso vivere così...non sono più io...voglio solo rivederlo...alla peggio mi chiude la porta in faccia e ricomincio altrove...posso sentire in qualche laboratorio, scrivere per qualche rivista di settore...chiedo aiuto ai miei...in qualche modo faccio..."
"Era da tanto tempo che non ti vedevo così determinata...ti brillano gli occhi..."
Si lavò, si vestì (felpa e tuta, finalmente!), accese il pc... Google - Ricerca : E... B...
"A. vieni a vedere! Secondo le pagine bianche abita ancora nel nostro vecchio appartamento... Io vado..."
"Vai...tesoro, vai!" l'abbracciò....
Uscì di corsa. Prese il bus. Le tremavano le gambe. Lo stomaco in subbuglio. Scese... si avvicinò al portone. Suonò il campanello. Dopo 3 interminabili secondi una voce laconica chiese "Chi è?".
"Sono... io... " Il portone si aprì...

Decisioni...

La valigia era quasi pronta: mancavano due cose e poi sarebbe andata. Aprì la porta.
"Cosa stai facendo?"
"Non è chiaro? Me ne vado..."
"E mi lasci così, come uno scemo?"
"Cosa dovrei fare? Troppa pressione su questo fragile equilibrio che ci siamo costruiti... "
"Non è fragile. Se lo fosse sarebbe crollato alla prima discussione..."
"Allora mettiamola così: troppa pressione su di me...sono io che non ce la faccio più..."
"E quindi invece di affrontare i problemi, scappi... molto maturo..."
"Non mi interessa esser matura, solo stare meglio..."
"Da sola? O magari a tentar di dimenticare in qualche festa, come facevi prima?"
"Non ti riguarda."
"Un tempo avresti detto che tutto ciò che facevamo riguardava entrambi..."
"Ma non è così... Ci siamo illusi di essere uguali, ma la verità è che col nostro carattere non sappiamo accettare compromessi..."
"E' per questo che scrivi per me bellissime storie che poi io disegno?"
"Non cercare di fermarmi..."
"Voglio solo che tu rifletta. I nostri progetti?"
"Quali? Quelli dove avremo cambiato il mondo con la nostra arte? Stronzate..."
"Non erano stronzate quando passavamo ore a creare mondi; non lo erano quando ci sorridevamo perché pensavamo all'unisono; non lo erano quando ci commuovevamo sul finale di un film..."
"Smetti per favore..."
"Tu ti stai arrendendo, non combatti più..."
"Non ne vale la pena..."
"Ah no? Allora erano menzogne quelle che dicevi quando io avevo solo pensieri distruttivi... Menti adesso, o mentivi allora? Mentivi quando dicevi che ognuno nel suo piccolo ha il dovere di fare qualcosa per migliorare le cose? Noi due siamo il nostro piccolo e tu non stai combattendo! Con la tua vigliacca bandiera bianca te ne vai e butti alle ortiche il periodo più bello delle nostre vite..."
"Quanto ci è costato in termini di sofferenza questo periodo?"
"Molto. Di sicuro ci costerebbe ancora caro, ma ne vale la pena..."
"Non ne sono più sicura..."
"Dovresti invece... Pensa a ciò che abbiamo fatto di buono insieme, quanto siamo cresciuti, quanto ci siamo aiutati... Alla fine siamo noi due soli contro il resto del mondo. Dove vuoi andare? A cercare di nuovo di riempire un vuoto con false persone, falsi impegni? Vuoi di nuovo trovarti a chiederti se stai sprecando la tua vita, dietro a gente che non ti merita, ad assecondare le scelte degli altri?"
"Non lo so: qualcosa farò..."
"Resta e combatti! Questo sei: una combattente, un'eroina! Anche se non vuoi ammetterlo. Non crediamo al destino ma se ci pensi sembriamo nati per stare insieme... Avremo divergenze di gusti su qualcosa, ci complichiamo l'esistenza e finiamo per stare male inutilmente, ma quanto siamo forti insieme? Io voglio essere ancora il cavaliere che ti ha portato via dalla torre e se dovrò farlo, scalerò a mani nude fino alla tua finestra mille e mille volte ancora..."
"Perché?"
"Perché io sono così... Perché mi hai insegnato a non scappare dai problemi, ma ad affrontarli insieme... Salite, strade accidentate, non mi spaventano se sono con te. Sarò quel cavaliere se tu accetterai di essere quella principessa nella torre..."
"Non voglio deluderti più, non voglio vederti soffrire a causa mia..."
"L'unica cosa che mi farebbe soffrire davvero è perderti. Stai con me..."

Si avvicinò al suo orecchio e le prese la mano: "...Andrà tutto bene...".

Lasciò la valigia. Lo guardò. Lacrime calde scendevano sul suo viso. Ma aveva deciso. Lui la guardò e sorrise, con quel sorriso disarmante che l'aveva stregata tempo prima. Non aveva scampo con quel sorriso, gli avrebbe donato il mondo, l'universo intero... "Per fortuna..." pensò, e chiuse la porta.



mercoledì 5 marzo 2014

Chiarimenti

Non mi intendo di cinema: non ho mai capito l'importanza di certe scene piuttosto che altre; il significato di "fotografia" in un film mi è sconosciuto... Sconvolgo i più perché non mi piace Fellini, trovo ridondante Kubrick e mi annoio con Lynch; perché non mi intenderò della Settima Arte, ma di Arte in generale modestamente un po' ne capisco e penso che un'opera che al massimo mi produce un sonoro sbadiglio tanto "artistica" non sia, nonostante ne possa comprendere i mille significati nascosti...
Però mi piace guardare film, commentarli e riguardarli se mi piacciono. Guardo film che mi emozionano, che mi divertono, che rispecchiano il mio modo di essere o che, mi toccano nel profondo.
Non ho visto "La grande bellezza" di Sorrentino e penso che non lo vedrò a breve. Sono contenta dell'Oscar, perché col mio patriottismo non potrebbe essere altrimenti, ma già a suo tempo, dal trailer mi dette l'impressione di un film palloso, quei film che strizzano l'occhio a una certa borghesia di sinistra, ai radical chic, per intendersi, e raccontano un mondo a me lontano. Beh, mi si potrebbe obiettare che per criticare una cosa la si debba conoscere e io non potrei essere più d'accordo, ma ci sono sostanzialmente due motivi per cui non guarderò questo film:

  1. Quando una cosa viene osannata, sia essa libro, film, fumetto, ecc, mi passa subito la voglia di leggerla o guardarla... La mia presunzione mi porta a credere che ciò che piace a tutti, a me non possa piacere. L'unico motivo che mi spinge a conoscere un "cult" è stroncarlo una volta conosciuto.
  2. Questo film è prodotto da Medusa, una branca di Mediaset, un'azienda per il bilancio della quale non voglio contribuire. E mi chiedo: come possono tutte le persone di sinistra accettare di vedere questo film? Ma soprattutto: Sorrentino, affermato com'è, aveva davvero bisogno di Medusa per produrre il suo film e distribuirlo? Forse sì, non so come funzionino queste cose e se spetti al regista la scelta del produttore o meno. Ma da cittadina faccio una scelta e non vedo un film prodotto da Medusa. Di questo passo mi toccherà anche smettere di andare allo Space Cinema, lo so, ma a qualcosa si deve pur rinunciare per i principi. O no?
Forse mi sbaglio, forse il mio boicottaggio è un combattere contro i mulini a vento, ma sono fermamente convinta che il berlusconismo in Italia non si possa sconfiggere finché la gente guarda le sue televisioni. Eppure Mediaset trasmette un sacco di film belli, ma in casa mia quelle reti non sono mai entrate e mai entreranno. E' una questione di principio, un'esagerazione forse, e non voglio nemmeno far la parte di quella più brava perché faccio certe cose e non altre. Solo volevo chiarire con tutti, da chi mi mette nel gruppo di "quelli che non capiscono l'arte vera" a chi mi dice "se è un bel film lo guardi lo stesso" o "non sai cosa ti perdi", che no, questo film non lo guarderò, indipendentemente dall'Oscar. Sono uscite commedie italiane di alto valore, ultimamente, ma che nessuno si è filato, perché non erano di Sorrentino; per esempio "Benvenuto Presidente!", che tratta temi a mio parere importantissimi e lo fa pure senza annoiare... ammetto che mi sono pure commossa sul finale! Forse occorrerebbe rivalutare le candidature a Hollywood...

Un'ultima cosa: penso che tra i problemi dell'arte tutta ci sia il fatto che a decidere cosa sia arte e cosa non lo sia, cosa sia bello oppure no, è un'élite di persone che vivono a un passo dal pavimento ed osservano tutto e tutti con distacco e|o disprezzo. I loro giudizi sono dogmatici, per cui dire che la Gioconda non mi piace (ed è proprio così) o che Alan Moore ormai è un vecchio rimbambito pare eresia. E quindi ecco il problema successivo, ad esso concatenato: le persone che di arte non sanno una cippa finiscono agli Uffizi davanti alla Venere di Botticelli e dicono "Uuuuh bello" ma di quel quadro non capiscono assolutamente niente. Dall'altra parte, invece, ci son quelli, che, non capendo, butterebbero via tutto e allora l'arte è roba da sfigati, da omosessuali (sì ho sentito anche questa), roba inutile, insomma. E ci si divide da chi guarda solo film coreani e chi solo cinepanettoni. Ecco e allora cosa manca in questo paese? Manca l'Arte? Beh no. Manca la Bellezza? No. Manca un'educazione all'arte, al bello, a ciò che rende l'Italia unica al mondo. E non mi venite a dire che questo è proprio l'obiettivo del film, perché forse lo è, ma non credo che la storia di un giornalista che frequenta eventi mondani, possa esser sufficientemente vicina a quella delle persone comuni. L'arte, come tutte le altre cose, andrebbe insegnata alla Don Milani, alla Manzi, cercando di interessare tutti e di non farne più un'esclusiva di un'énclave. Un personaggio come quello di Jeb, che vive nella Roma bene e ne viene disgustato, non è diverso da un Holden Caulfield, che rifiuta le convenzioni della piccola e media borghesia americana degli anni '50. Ma quanti hanno letto il Giovane Holden? E quanti, tra quelli che l'hanno letto facendone un idolo, l'hanno capito? Lo stesso vale per La grande bellezza e per un sacco di altre opere. Le persone devono sentirsi coinvolte, per apprezzare e capire davvero i famosi "significati profondi" di un film, di un libro, di un quadro... Altrimenti, o se ne disinteressano, o lo demoliscono. L'unica soluzione per far sì che le persone apprezzino la Grande Bellezza che ci circonda è partire dai banchi di scuola e valorizzare ciò che abbiamo, ovvero Cultura e Scienza.

martedì 11 febbraio 2014

Relatività...

La Svizzera ha recentemente votato per limitare l'ingresso di lavoratori comunitari. Tempo addietro votarono per espellere tutti gli immigrati, tra cui mio nonno, e quasi rischiarono il crac... Si vede che anche loro hanno la memoria corta, come noi... Ma il punto non è questo, il punto è che i "nordici" leghisti si sono risentiti... Sarà una specie di legge del contrappasso, per cui "chi di purezza nordica ferisce, di purezza nordica perisce"... ammetto che quando ho sentito la notizia, mi è scappato un mezzo sorriso e ho pensato che in fondo il concetto di nord geografico (come quello di sud) è sempre relativo e dato che la terra è tonda si potrebbe andare all'insù all'infinito senza stabilire chi sia veramente più a nord o più a sud...
Ma cosa stanno facendo gli Svizzeri, esattamente? Un'operazione razzista, come quella della Bossi-Fini a suo tempo del resto... Un'operazione politica, quella di tentare di far fuori l'Italia dai giochi, perché di francesi e di austriaci, confinanti anch'essi con la Svizzera, quanti avranno bisogno di lavorare da loro?Pochi, di sicuro molti meno rispetto a noi italiani... Credo che questo ci dovrebbe far pensare... quanto a volte siamo razzisti noi? E quando poi lo subiamo il razzismo ci rimaniamo male... E allora sì, che ci sentiamo "italiani", patrioti e fieri: altrimenti siamo esterofili, frammentati e campanilisti, divisi tra nord e sud, negando un'appartenenza di cui forse lontanamente ci ricordiamo alle partite della Nazionale di calcio... E allora penso a quanto sia stupido tutto questo, e non solo per un motivo scientifico, che ci identifica tutti come esseri umani della stessa specie, ma anche per un discorso economico... Quanto ci costa non sentirci italiani in termini prettamente di vile denaro? Tantissimo. 
Ci costa quando non investiamo nel nostro patrimonio culturale e nel nostro paesaggio perché per primi non gli diamo valore.
Ci costa quando non permettiamo ai nostri giovani laureati di trovare un lavoro e dopo aver speso per farli studiare li mandiamo a contribuire al PIL di un paese estero.
Ci costa quando un imprenditore senza scrupoli assume a nero lavoratori stranieri che non pagano le tasse, fanno la fame, e fanno concorrenza sleale ai lavoratori italiani.
Ci costa in termini di criminalità organizzata, che sfrutta la tratta dei migranti per guadagnarci sulla pelle di poveri disgraziati, sfruttandoli, facendoli delinquere o morire in mare.
Ci costa per le carceri piene di gente "colpevole" del reato di clandestinità.
Ci costa in immagine per le condizioni terribili degli immigrati nei CIE.
Ci costa perché ormai nemmeno gli immigrati senza nulla da perdere scelgono il nostro paese per rifarsi una vita, ma lo usano solo come passaggio per entrare in UE.
Ci costa perché limitando l'ingresso di queste persone o rendendogli la vita difficile, essi non contribuiscono più al nostro sistema pensionistico.
Ci costa perché chi non si integra, finisce per rubare.
Ci costa perché ormai siamo un paese vecchio, coi giovani che se ne vanno e le persone di mezza età che non vanno in pensione.
Ci costa perché ormai gli unici che donano il sangue negli ospedali sono gli immigrati.

Quanto ancora vogliamo perdere, in termini di ricchezza economica e culturale? 
Quanto genio italiano vogliamo regalare ancora ai paesi stranieri?
Quanto dobbiamo cadere in basso, per ricominciare a risalire?

E' necessaria una legge decente per regolare l'immigrazione.
E' necessario investire in ricerca, ambiente, cultura per rilanciare questo paese.
Sappiamo essere i migliori al mondo, quando vogliamo:
 è l'ora di smettere di galleggiare,
è l'ora di credere in noi stessi come italiani e non come lombardi o campani,
è l'ora di rilanciare il nostro paese.

lunedì 10 febbraio 2014

Un'opera di Legalizzazione - Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere

Stasera mi hanno rubato l'ombrello nella sala d'aspetto di un ospedale.
Tempo fa nel parcheggio di un altro ospedale mi bucarono una gomma dell'auto.
Negli spogliatoi della piscina dove nuoto mi hanno rubato la trousse degli shampoo (finiti per altro...).
Allora la riflessione mi sorge spontanea: nella civile Firenze quanto vale la parola legalità?
"Molto", direbbero i più a una domanda di un giornalista. Invece a mio parere non è così.
Personalmente ho partecipato a molte attività organizzate dall'associazione LIBERA insieme ad un sacco di altri ragazzi che sono andati anche a lavorare nei terreni confiscati ai mafiosi. Ritengo il lavoro di Don Ciotti fondamentale e sono contenta che ci siano lui e tutti quelli che con lui s'impegnano per combattere la criminalità organizzata. Però non basta... Se anche a Firenze la gente si riduce a rubare un ombrello, se anche a Firenze vedi bruciare i lampredottai perché non pagano il pizzo, se anche a Firenze se hai un parente nei vigili ti fai annullare la multa che hai preso sfrecciando sui viali, allora no: la parola Legalità anche qui è solo una parola, nient'altro.
Si sente spesso la parola "legalizzazione" riferita alla marjuana e se ne potrebbe discutere. Bene, io credo che la legalizzazione vada estesa alle coscienze: la legalità non fa parte della mentalità italiana, tanto nel profondo sud, come nel grande e industrioso nord, per cui occorre un'opera di sensibilizzazione continua, un percorso a livello nazionale e locale. La mentalità dell'italiano, si sa, è quella del più furbo: difficilmente odiamo i politici che rubano perché è immorale, ma perché vorremmo essere al loro posto... Se non commettiamo un crimine è perché abbiamo paura di essere scoperti, della punizione, non perché sappiamo che è sbagliato; ma appena possiamo evadiamo le tasse, non paghiamo biglietti. gettiamo carta per la strada... E davanti alla strage di Capaci, questo può sembrare insignificante, ma non lo è: la Mafia c'è perché la nostra mentalità glielo permette... Non è questione solo di sistema malato, di ineluttabilità di certe situazioni più grandi di noi, di corruzione, di poteri forti: è questione giorno, per giorno di cercare di comportarsi correttamente, per vivere meglio tutti...Per non ritrovarsi come me oggi senza ombrello sotto la pioggia, per non dover pagare tasse esose perché c'è qualcuno che non le paga, per non dover abbassare la testa davanti a chi ti chiede il pizzo, per non dover rivolgersi al bossettino di turno per trovare un lavoro, per non dover più assistere allo strazio di via dei Georgofili...
E' facile, certo, parlare, comodamente seduti davanti a un pc, come faccio io, più difficile è agire nel concreto...  Per questo la rivoluzione deve partire sia dalle istituzioni, quelle da cui molta gente si sente abbandonata, tramite lo strumento più grande che lo Stato ha: la Scuola... E poi deve partire da ognuno di noi... All'inizio può sembrare innaturale, ma piano, piano s'impara e ci si sente anche meglio e non sembra più tanto strano: fai la raccolta differenziata, non svuoti il posacenere fuori dal finestrino, pulisci la cacca del cane dal marciapiede, denunci un furto (e non ti fai gli affari tuoi come faresti d'istinto), rispetti le regole insomma... cose semplici, ma importanti... E non è per fare moralismi, ma per semplicemente seguire un principio universale "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te"! E gli altri sono anche lo Stato, soprattutto lo Stato, quello con la Costituzione più bella del mondo..

"La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico. La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare."  Piero Calamandrei

" La scuola in definitiva dovrebbe insegnare a diventare intelligenti. E anche pratici, per potersi autogestire in modo valido. Cioè fare in modo che, una volta che si è davvero dimenticato molto di ciò che si è imparato sui banchi, emerga però un cervello che è stato allenato a rispondere bene agli stimoli ambientali, che è capace di adattarsi, e di affrontare in modo corretto i problemi." Piero Angela

Da una capitale all'altra...

Tornata ieri da un fine settimana lungo a Torino, mi sento in dovere di commentare questa mia esperienza, decisamente istruttiva... lo farò con brevi flash, una specie di lista, dato che vanno tanto di moda...

COSA MI E' PIACIUTO E, QUINDI, MI MANCHERÀ DI TORINO:


Le piazze enormi con dei bellissimi portici, dove ripararsi quando piove, pieni di negozi stile '800

L'aria risorgimentale, il liberty e il profumo di Belle Epoque
La pulizia delle strade, l'assenza di traffico e di ressa
Il museo egizio
Il museo del cinema
Il GAM: mi sono divertita troppo!
Piazza San Carlo con i suoi splendidi palazzi
Il ristorante-pizzeria vicino all'hotel
I parchi
Il castello del Valentino, sede della facoltà di architettura
I prezzi esposti nei ristoranti
Le cioccolaterie
Il punto info della stazione Porta Nuova
Il panorama con le montagna innevate
I tifosi del Torino che vanno alla partita
La colazione a buffet dell'hotel
I sanpietrini e, in generale, l'assenza di asfalto nelle strade del centro
La gentilezza dell'impiegato GTT (la loro ATAF) al museo del cinema
La compagnia, stupenda, come in tutti i miei ultimi viaggi


COSA NON MI E' PIACIUTO E, QUINDI, MI HA FATTO RIMPIANGERE FIRENZE:

La gente che non ti risponde o al massimo ti parla a gesti
Il modo di vestirsi tamarro dei torinesi
La nebbia che copre il panorama
La scarsa capacità di vendere dei torinesi
Il cibo grasso: carne, cioccolato, carne, cioccolato, carne, cioccolato... agnolotti con carne e cioccolato
La quasi assenza di turisti e torinesi a giro per le strade: sembrava una città fantasma
La stazione di Porta Susa: anche se ultamoderna, è priva di negozi e l'unica edicola apre alle 16!
Il lungoPo: non è bello e romantico come un lungarno o un lungotevere, sembra la stradina lungo il Terzolle!
La farinata: 3 euro per acqua e farina?!?
Le chiese: non hanno senso estetico, vanno dal barocco più grezzo alla finta pietra e al falso storico!

In conclusione ho amato questa città, seppur da fiorentina (si sa che noi abbiamo Ponte Vecchio nel DNA e niente ci può sembrare altrettanto bello!), e mi sono divertita. Ho fatto un'esperienza istruttiva, non solo per la quantità immane di musei che Torino ospita, ma anche dal punto di vista antropologico: il Grande Nord e il Profondo Sud non sono poi così dissimili! Come sempre sarei rimasta un paio di giorni in più, per finire di apprezzare i lati positivi di questa ex capitale di stampo mitteleuropeo, per riuscire a scovare il famoso mercato centrale e per vedere qualche museo che non ho fatto in tempo a visitare... per il resto è stato bellissimo partire, divertente ed interessante soggiornare e girellare, stupendo tornare... Tornerò a Torino, sicuramente ma la mia città a misura d'uomo, col suo puzzo di smog, la sua spocchia e le sue colline, non sono paragonabili a nient'altro al mondo!













martedì 28 gennaio 2014

Brutti pensieri

Quando ti svegli con brutti pensieri non c'è niente che te li faccia andar via: non basta una limpida giornata di sole, non basta lo studio per l'esame incombente, non bastano i sorrisi dei tuoi amici e colleghi...

Quando ti svegli con brutti pensieri ti sciupano tutto e anche il sapore del succhino che ti sei portata per merenda ti sembra più amaro... e ti bruciano gli occhi, ti esplode la testa, ti si chiude lo stomaco...

Quando ti svegli con brutti pensieri ti sembra di essere senza prospettive, incapace di reagire, inchiodata a situazioni complicate, davanti a problemi irrisolvibili.

Quando ti svegli con brutti pensieri non agisci, ma aspetti che qualcuno venga a salvarti, anche se non sei poi così sicura di voler esser tratta in salvo.

Quando ti svegli con brutti pensieri diventi antipatica, scortese, musona perché ti sembra non valga la pena sorridere al mondo e perché la faccia corrucciata e imbronciata impedisce alle lacrime di cadere.

Quando ti svegli con brutti pensieri smetti di credere nei tuoi ideali, nel tuo futuro...smetti di avere speranze...e non ti arrabbi nemmeno più: tutto il male del mondo ti appare ineluttabilmente inevitabile.

Quando ti svegli con brutti pensieri vorresti incenerire ogni cosa con lo sguardo, così solo perché ti sembra ingiusto star male mentre il resto del mondo è incredibilmente felice...

Quando ti svegli con brutti pensieri in realtà è perché quei brutti pensieri fanno parte di te e anche nei momenti più felici saranno lì, in un angolino, a metterti inquietudine, a insinuarti il dubbio che quella felicità non durerà, che rovinerai tutto, che non sarai in grado di sopportarla, perché in fondo sono i brutti pensieri i tuoi compagni di sempre, quelli che non ti abbandonano mai e quindi non ti deludono... Sono bravi i brutti pensieri a convincerti, sono ottimi oratori... Mi sono svegliata con brutti pensieri una mattina di 7 anni fa e da allora convivono con me, anche quando non voglio ammetterlo...

mercoledì 8 gennaio 2014

Esperimento (con speranza)

Prese il bus dalla piazza più trafficata della città. Salì e si sistemò sul primo sedile a sinistra accanto al finestrino. Dato che il bus era in capolinea e l'autista in pausa, dette uno sguardo allo specchietto retrovisore contemplando il riflesso che le offriva: occhi contornati di matita e mascara mandavano ansiose richieste d'aiuto da ogni parte... "Che capelli c'ho?" pensò cercando di abbassare le nuvole crespe che le incoronavano la testa. "Sarò troppo truccata? Magari sembro pretenziosa. Ho pure i tacchi... ma se venivo con le scarpe da ginnastica magari facevo troppo scrittrice radical chic! boh speriamo bene! Oh ecco l'autista..."
L'aria dentro il veicolo si riempì di fumo di sigaretta, mentre il conducente sistemava la giacca e metteva in moto. La ragazza si torturava le mani tirando avanti e indietro le dita che scricchiolavano selvaggiamente. Ben presto cominciò a sudare, benché ci fossero solo 10 gradi.
"Ecco mi ci manca la pezza sotto le ascelle! La fermata? La so, ci passo sempre..."
Nel giro di venti minuti era arrivato il momento di scendere. Suonò il campanello di fermata. Scese con gambe tremolanti e si avvicinò alla curva, stando attenta alle auto che si alternavano sfrecciando nonostante la strettoia. Si fermò davanti alla splendida villa con parco, si sistemò il cappotto, prese fiato e s'incamminò verso l'edificio.
Giunta nell'atrio si rivolse all'omino in portineria "Scusi, buongiorno. Avrei un appuntamento per le 10 con il signor R. all'ufficio manoscritti."
"Ne è sicura signorina?"                                                                                              
"Beh, sì..."
"Mah provo a chiamare. ma te che saresti una scrittrice? Vestita così? Ahahahah"
"Scusi ma come si permette?"
"Via signorina si scherza! ah ecco la linea. Allora puoi salire; primo piano a sinistra, terzo ufficio sulla destra. Non ti perdere, eh?" sorrise beffardo.
"Grazie..."

"Ma guarda questo maleducato! Ma che vuole? Ragazzina, mi ha chiamato! Mmmm che nervi! Ah, ecco, vediamo: 1,2,3, terzo ufficio... bussiamo..."

"Avanti"

Entrò. Davanti a lei un'enome scrivania di legno massello, piena di fascicoli, tanto da non distinguere l'occupante della sedia al di là di essa. L'arredamento della stanza era decisamente in contrasto con l'edificio quattrocentesco: armadietti e archivi di metallo grigio e freddo appoggiati a muri in pietra; un lampadario moderno - Ikea? - penzolava dal soffitto con le travi a vista; sul pavimento un linoleum consunto e sudicio; nell'angolo a destra una stufetta elettrica che produceva un ronzio inquietante. "Chi cavolo ha permesso questo scempio?Da tagliargli le mani! T'immagini i Pazzi a congiurare con questo lampadario? No, li odio."

"Venga signorina, venga. Anzi, vieni. Da qui vedo che hai 23, anzi no, 24 anni... giusto?"

"Ehm buongiorno. Sì..."

"Siediti, dai, vediamo."

Si sedette davanti all'uomo che le stava parlando: basso e tarchiato, occhiali demodé abbastanza spessi, un cardigan beige liso appoggiato sulle spalle, da cui emergeva una camicia di velluto marrone da boscaiolo, il terzo bottone mancante. "Ah lui è il responsabile dell'ufficio manoscritti! Andiamo bene, c'ha pure il riporto! e unto!" pensò mentre il signor R. sfogliava frettolosamente le pagine di un fascicolo, con le sue manine grassocce e molli.

"Bene, e quindi tu vorresti pubblicare questi dieci racconti. Come mai hai scelto la nostra casa editrice?"

"Beh è storica qui in città e non solo, ha una storia secolare... e è comoda da raggiungere... e mi piace il simbolo!" ("Che stronzata ho detto?!?")

"Ahahah! Sei sincera! è la prima volta che mi dicono che scelgono noi per il simbolo. brava, mi piace, sei simpatica... e agitata! Calmati, mica è un esame! cioè un pochino, ma mica ti dò il voto! alla peggio torni a casa e chiedi a qualcun'altro di pubblicarti..."

"Sì, certo! Fosse facile."

"Ma sì sei giovane. ma torniamo a noi: allora, sei venuta da noi da sola, senza contatti, senza un editor, senza raccomandazioni, così... e perché pensi che dovremo pubblicare il tuo lavoro? Non sei certo la prima a voler scrivere! insomma, sai quanti manoscritti riceviamo? Migliaia. e alcuni di ragazzi anche più giovani di te. Perché dovremmo scegliere proprio i tuoi racconti?"

"Non so, perché sono ben scritti?"

"Opinabile."

"Lei li ha letti?"

"Sì."

"E che ne pensa?"

"Non malaccio, ma ricevo tante cose non malaccio."

"Beh, sono quasi tutti autobiografici, sono diretti a un pubblico abbastanza vasto e sono pieni di speranza..."

"Speranza, e allora?"

"Beh c'è bisogno di speranza in questo periodo non le pare? E poi finiscono bene. "

"Che c'entra? Anche gli Harmony finiscono bene. Dammi un motivo valido perché io dovrei dare l'ok alla pubblicazione, spendere, investirci, darti un editor."

"Non ho bisogno di un editor, o li pubblicate così o niente!"

"Arrogante e ingenua. insomma dimmi perché li devo pubblicare!"

"Perché è quello che vorrei leggere io. Quando compro un libro cerco belle storie, scritte bene, scorrevoli, intriganti, col lietofine, ma senza troppo zucchero."

"Già meglio, va bene..."

"Quindi me lo pubblica?" chiese con occhi al contempo sorpresi e speranzosi.

"All '80% sì, investirò sul tuo lavoro!Spero che venderai."

"Non scrivo per i soldi, né per la fama."

"Tu forse no, ma io pubblico per i soldi."

"Non dovrebbe pubblicare perché pensa che è un buon lavoro?"

"Non tutti i buoni lavori fanno fatturare."

"Beh se abituiamo le persone solo a libri mediocri, ovvio che lo standard si abbassa. Ma se offriamo qualità, magari la gente comincia anche ad apprezzarla, non si accontenta più. Non dovrebbe essere l'obiettivo di una casa editrice, l'arricchimento culturale del paese?"

"Sei giovane..."

"Non dica così,lo so che siete un'azienda, che avete bollette da pagare, dipendenti da retribuire ecc ed è giusto che vogliate guadagnarci. tutti vogliono guadagnare dal proprio lavoro, non sono stupida, ma un conto è guadagnare vendendo schifezze con cui la gente si abbrutisce, un conto è guadagnare vendendo sogni, speranze, cultura, cibo per la mente e lo spirito..."

"Mi fai la paternale?"

"Lungi da me..."

"Sarà bene! adesso puoi andare, ti faccio sapere via mail..."


Erano passati 6 mesi e la ragazza ormai non ci sperava più. "Mi sono impelagata con la morale e non mi pubblicano più! Stupida!". Aprì la mail e lo vide, il messaggio del signor R.:

"Cara A.,
abbiamo mandato in stampa le bozze del tuo manoscritto. Sta venendo bene. Dato che i tuoi racconti sono molto suggestivi ho pensato che forse ci sarebbe bisogno di accompagnarli da disegni (anche perché così si stampano più pagine e viene a costare meno, non me ne volere per questo!); conosci qualcuno che possa rendere al meglio le idee che esprimi nelle tue storie? Altrimenti puoi parlare con uno dei nostri disegnatori freelance, di cui ti lascio i contatti qui sotto. Fammi sapere. Per il resto ti aspetto domani alle 10 per farti vedere la stampa e ragguagliarti sulle procedure burocratiche.

A Domani

M. R.

Ps: Grazie per avermi fatto ricordare del perché ho iniziato a fare questo lavoro tanti anni fa!"

Felice come una pasqua, la neoscrittrice chiamò subito il suo cavaliere per informarlo della notizia: "Dobbiamo festeggiare, amore! Cena fuori? "

"Va bene, non immagini quanto sono contento per te."

"Allora a dopo, devo andare. devo fare una cosa importante...ciao..."

"Ciao..."


Attaccato il telefono si mise davanti al pc. Nuovo documento. Titolo: Esperimento. "Prese il bus dalla piazza più trafficata della città. Salì e..."

Alla sera

Forse perché della fatal quïete

tu sei l'imago a me sì cara vieni

o sera! E quando ti corteggian liete

le nubi estive e i zeffiri sereni,


e quando dal nevoso aere inquïete

tenebre e lunghe all'universo meni

sempre scendi invocata, e le secrete

vie del mio cor soavemente tieni.


Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme


delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre io guardo la tua pace, dorme

quello spirto guerrier ch'entro mi rugge