martedì 23 giugno 2020

Senza titolo.

Mutek la guardava senza dire niente. La sua Wonder Woman aveva lo sguardo triste.

“Mi dispiace tanto…”

“Non è colpa tua…”

“Beh… e di chi allora?”

“Di nessuno. Sei quello che sei e non ci possiamo fare niente. E in fondo l’ho sempre saputo. Che eri diverso dagli altri, che eri una bomba pronta a scoppiarmi tra le mani. Non me lo hai mai nascosto…”

“Ma per me non cambia poi molto… Anzi: non è cambiato niente, alla fine…”

“Lo so. Per certi versi è così anche per me. Ti guardo e non vedo problemi. Poi, però, rimango sola e… penso. Che è cambiato tutto, che ti capisco, ma non so se sono in grado di farlo fino in fondo. Mi sento presa in giro, anche se so che non era tua intenzione. Come se fosse stato tutto una menzogna. Almeno gli ultimi mesi…”

“Ma io non ti ho mai mentito… non ho mai dubitato del nostro amore, dei nostri progetti, del nostro futuro…”

“Oh, ma ne dubito io, ora. Tu sei speciale, sei fantastico, sei… forse troppo. Troppo per una persona abitudinaria come me. Io amo la stabilità, le consuetudini…”

“Ma ne abbiamo passate tante insieme!”

“Tantissime, ma ogni volta mi aggrappavo al nostro rapporto. Adesso non so più a cosa aggrapparmi…”

“Io sono ancora qui… Puoi aggrapparti a me. Lo so che ti senti defraudata di qualcosa, come se fossi una risorsa da condividere. Ma io sono qui, per te, tutto intero e… se lo vorrai, ci sarò sempre!”

“E che, non lo so? Tu non molli mai. Ti ammiro tanto. Per la forza che hai avuto a rivoluzionare la tua vita, a metterti in gioco, a rischiare tutto… solo per amore. Però allo stesso tempo non so cosa fare, mi sento persa. Questo nuovo assetto mi spaventa…”

“Spaventa tanto anche me… è tutto nuovo…”

“Già…”

“Però questa cosa non toglie niente al tempo trascorso insieme. Vorrei che potessi viverla come un arricchimento, non come una sorta di furto ai tuoi danni…”

“Lo vorrei anche io. Oppure vorrei odiarti, urlarti contro, dirti di andartene per sempre dalla mia vita. Ma non ci riesco, perché sei la cosa più bella che mi potesse capitare…”

“SIAMO la cosa più bella…”

“Siamo ancora, nonostante tutto?”

“Non eri fissata, a tuo modo, con una certa “trinità”?”

“Il solito scemo che gioca sporco e riesce a farmi ridere… Ti odio e ti amo. E non so se ce la faremo, stavolta…”

“Nemmeno io. Ho una paura enorme… Ma non devo dirti io come si sconfigge la paura…”

“Insieme?”

“Sì, ma non solo… con la volontà…”

Lei sorrise tra le lacrime e lui, osservando quei meravigliosi occhi azzurri, pensò agli ultimi giorni e alle emozioni che avevano provato e si disse che, in fondo, se il rosso era la Rabbia, il giallo la Paura, il Verde la volontà, il blu era il colore della Speranza.


martedì 2 giugno 2020

Lettera alla ragazzina che ero



Di recente mi sono capitate per le mani delle foto di me da adolescente. Ero una bella ragazza, con un sorriso contagioso e un cervello che riusciva, bene o male, a evitare la tempesta ormonale, almeno quanto bastava per non essere una completa idiota. Certo, ero imbecille lo stesso. Ma chi non lo è a quell'età? 

La cosa che mi colpisce maggiormente è vedermi bella. Perché valuto dall'esterno con gli occhi di una trentenne che ha imparato, almeno un po', a conoscere il mondo e le persone. All'epoca non mi vedevo bella. E nessuno mi aveva mai detto che lo fossi. Anzi. Ma rispetto a ora sicuramente si notano le occhiaie, i chili e i capelli bianchi in meno. Ero sempre in lotta col mondo (e quello forse non è cambiato), ostentavo una sicurezza che non avevo e sapevo fingere cinismo per nascondere una fragilità, che oggi, a pensarci, fa paura. Viaggiavo su una strada pericolosa, sempre sul filo. E soprattutto mi facevo usare. Perché? Non ero scema, ma non avevo autostima. Tanto che potevo passare dall'essere al centro dell'attenzione ad esser "tappezzeria". Nel mio egocentrismo mi pesava da morire questa cosa. L'essere ignorata, il passare inosservata. Non ero sola, certo… non nel senso vero del termine. Ma mi ci sentivo. E quindi tentavo di adeguarmi a standard che mai sono stati i miei. Ero una ragazza che leggeva, odiava le ingiustizie e non amava i locali. Ma spesso tentavo di conformarmi, diventando la pallida imitazione di chi in quegli standard ci stava alla perfezione. Tutto mi stava stretto, dai vestiti (sebbene fossi una invidiabilissima, oggi, taglia 44 con tutte le forme al posto giusto), agli ambienti, alle persone… a pensarci oggi, mi fa tanta compassione quella versione di me. Non mi mancava nulla per esser quella che volevo, ma io non ero capace di vedermi. E, oggi, con le mie ernie, i miei chili di troppo, i miei capelli bianchi, il mio caratteraccio, il mio snobismo, sono comunque una trentenne felice e vorrei poter avere una DeLorean per andare indietro di 13 anni e dirmi "Quanto sei bella, Ali, dentro e fuori!". Mi risparmierei i pianti, le delusioni, i dolori, le compagnie sbagliate, le notti insonni con gli attacchi di panico e i pomeriggi a guardare il soffitto. E poi mi starei vicina nei momenti bui. Quei momenti dove ero io a star vicina agli altri, a far da parafulmini e da roccia per tutti e poi mi ritagliavo il mio angolino di silenzio per sfogar le mie lacrime. Da sola. Quanto bene mi avrebbe fatto un abbraccio in quei momenti! Quanto bene mi avrebbe fatto l'essere educata anche ai complimenti e non solo alle critiche! Quanto avrei voluto avere qualcuno che mi aiutasse nei miei percorsi di accettazione delle mie "diversità"!

Ma indietro non si può tornare e tutte le mie esperienze, belle o brutte che siano state, mi hanno portato ad essere quella che sono oggi. Certo, mica mi sento sicura su tutto. Ma per lo meno sono pressoché stabile, nelle mie competenze professionali, come nelle mie relazioni con le persone. So valutare gli altri per ciò che sono, so esprimere i miei sentimenti, so difendermi da chi vuol ferirmi. E anche gli altri lo percepiscono. E mi vedono più bella, più intelligente e matura di quanto io sia. 

E chi devo ringraziare per tutto questo? Sicuramente chi mi è stato e mi è accanto. I miei affetti sono il carburante per la mia voglia di vivere. E poi… proprio quella ragazzina testarda e ostinata, che, nonostante tutto, non si è mai arresa. A te, Alice, adolescente arrogante e insicura, devo tantissimo. E, per fortuna, porto sempre con me una parte di te, quella più forte.


mercoledì 25 marzo 2020

DANTEDI' - 25 marzo 2020

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sabato 14 marzo 2020

Parafulmine

Mutek era stanco. Ancora una volta si trovava l'anima lacerata, gli occhi in fiamme, lo stomaco ridotto a una nocciolina. 
Le parole, da lui sempre misurate, pesate, centellinate, gli altri le usavano come le mascherine vengono usate in quarantena. Senza riguardo, senza attenzione, come quando si lancia il sacchetto dell'umido nel cassonetto. Come quasi se ne volessero allontanare, come se gli facessero schifo, le lanciavano così come pietre. Loro lapidatori, io novella Maddalena, di nuovo pensava a quanto fosse ingiusto.  Quanto le attenzioni che riservava lui agli altri, venissero dagli stessi calpestate quando si trattava di usarle nei suoi confronti. Per tutti era normale riversargli addosso insicurezze, paure, tristezza...
Era un parafulmine. E quando però stava male lui? Su chi avrebbe scaricato la tensione? Su cosa scaricano i parafulmini? Direttamente a terra. 
Io, che sono un parafulmine umano devo ancorarmi bene a terra, quindi, pensò osservando le coreografie degli storni al tramonto sulle case in lontananza.
Di cosa è composta la mia messa a terra? Benjamin aiutami tu!
Ripensava all'importanza che la specie umana aveva dato da sempre al linguaggio, tanto da farne una forma d'arte. "In principio era il Verbo". Già. Le parole. Per secoli, millenni, e ancora oggi in alcune culture, si è attribuito ad alcune parole un significato magico, di guarigione o maledizione. Sono fatti di parole gli incantesimi e le preghiere, e la cultura classica ne ha creato movimenti filosofici e ha insegnato il loro uso nelle scuole. Che direbbe Cicerone della pochezza e l'approssimazione con le quali oggi si usa il linguaggio? E Gutemberg, che ha inventato un modo nuovo per diffonderle a tutti? 
Mentre pensava a questo, con amarezza, scorreva le foto sul suo dispositivo elettronico di comunicazione. Gliene passò davanti una in cui era sorridente. Non era da solo in quella foto e, infatti, era felice. Per un secondo si vide anche bello, al contrario di come gli capitava sempre. Sorrise a quel sorriso.
Ecco la mia "terra", dove scaricarmi. Sono le persone. Quelle che a me ci pensano. Quelle che ancora hanno l'empatia necessaria a comprendermi. Quelle che mi strappano un sorriso quando vorrei solo piangere e urlare. E di questi tempi non se ne trovano tante...








"Le parole sono, nella mia modesta opinione, la nostra massima e inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo" Albus Silente

venerdì 13 marzo 2020

Pensiero mattutino

Mutek si svegliò. Era il quarto giorno di quarantena. Tutto gli sembrava surreale. Il mondo era fermo, la sua testa no. Oggi avrebbe dovuto festeggiare. Con lei. Ma in tempi di clausura forzata anche quell'occorrenza sarebbe stata rimandata a tempi più felici. 
Devo far tesoro di questa cosa, si disse poco convinto. Devo imparare a prendere coscienza di me e dei confini del mio corpo, della mia azione. Devo smetterla di farmi travolgere dalla sindrome di Superman e accettare di non poter provvedere a tutto e a tutti. Ciò non significa che farà meno male, ma già prenderne atto è un inizio di guarigione. Devo far tesoro di tutte le sensazioni brutte o belle di questi giorni. Analizzarle. Metterle nella loro casella. E distaccarmene. È un mettere in ordine. Trovare a tutto un posto. E forse allora troverò la chiarezza che mi serve. Forse no. 
Il mondo per i prossimi 20 giorni è tutto qui. Nella mia casa. Nella mia stanza. Nella mia testa. Se non voglio impazzire devo sistemare il casino che c'è, quello fuori e quello dentro. 
Cominciamo con la scaletta delle cose da fare. Cominciamo col farci una doccia, cambiare pigiama e lenzuola. Prendiamo aria dal terrazzo e osserviamo questo pezzo di periferia così assurdamente deserto e silenzioso. 
Non era vero silenzio. Sentiva, se allungava l'orecchio, lo svolgersi delle vite dentro le case. Tapparelle che si alzano, tg che diffondono paure, sciacquoni tirati, qualcuno che fa uscire dalla finestra le note di una canzone pop anni '80. Da qualche parte, gli uccellini cinguettavano e un loppide abbaiava all'aria. 
Manca poco più di una settimana a primavera, pensò mentre rientrava, lasciando con riluttanza il metro quadro e mezzo del balcone. 
La primavera. La sua stagione preferita. Aveva sempre grandi speranze all'arrivo della bella stagione. Doveva aspettare ancora venti giorni per godersela appieno. Il primo sole. Le margherite nei prati. L'aria tersa e le risate dei ragazzini. Ridono sempre i ragazzini. È una cosa tipica loro. I bambini piccoli corrono. I ragazzini ridono. E io? Io sono un uomo e rispetto i canoni della società. Io non rido col primo caldo della primavera. Non mi faccio inebriare dal profumo delle erbe, né dagli ormoni risvegliati. Io… Io sono un idiota che aspetta a gloria di poter uscire di nuovo. Io sono quello che sogna il primo gelato della stagione. 
E mentre pensava a quel gelato, chiuse la porta finestra e tornò alle sue incombenze.

Alla sera

Forse perché della fatal quïete

tu sei l'imago a me sì cara vieni

o sera! E quando ti corteggian liete

le nubi estive e i zeffiri sereni,


e quando dal nevoso aere inquïete

tenebre e lunghe all'universo meni

sempre scendi invocata, e le secrete

vie del mio cor soavemente tieni.


Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme


delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre io guardo la tua pace, dorme

quello spirto guerrier ch'entro mi rugge