mercoledì 25 marzo 2020

DANTEDI' - 25 marzo 2020

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sabato 14 marzo 2020

Parafulmine

Mutek era stanco. Ancora una volta si trovava l'anima lacerata, gli occhi in fiamme, lo stomaco ridotto a una nocciolina. 
Le parole, da lui sempre misurate, pesate, centellinate, gli altri le usavano come le mascherine vengono usate in quarantena. Senza riguardo, senza attenzione, come quando si lancia il sacchetto dell'umido nel cassonetto. Come quasi se ne volessero allontanare, come se gli facessero schifo, le lanciavano così come pietre. Loro lapidatori, io novella Maddalena, di nuovo pensava a quanto fosse ingiusto.  Quanto le attenzioni che riservava lui agli altri, venissero dagli stessi calpestate quando si trattava di usarle nei suoi confronti. Per tutti era normale riversargli addosso insicurezze, paure, tristezza...
Era un parafulmine. E quando però stava male lui? Su chi avrebbe scaricato la tensione? Su cosa scaricano i parafulmini? Direttamente a terra. 
Io, che sono un parafulmine umano devo ancorarmi bene a terra, quindi, pensò osservando le coreografie degli storni al tramonto sulle case in lontananza.
Di cosa è composta la mia messa a terra? Benjamin aiutami tu!
Ripensava all'importanza che la specie umana aveva dato da sempre al linguaggio, tanto da farne una forma d'arte. "In principio era il Verbo". Già. Le parole. Per secoli, millenni, e ancora oggi in alcune culture, si è attribuito ad alcune parole un significato magico, di guarigione o maledizione. Sono fatti di parole gli incantesimi e le preghiere, e la cultura classica ne ha creato movimenti filosofici e ha insegnato il loro uso nelle scuole. Che direbbe Cicerone della pochezza e l'approssimazione con le quali oggi si usa il linguaggio? E Gutemberg, che ha inventato un modo nuovo per diffonderle a tutti? 
Mentre pensava a questo, con amarezza, scorreva le foto sul suo dispositivo elettronico di comunicazione. Gliene passò davanti una in cui era sorridente. Non era da solo in quella foto e, infatti, era felice. Per un secondo si vide anche bello, al contrario di come gli capitava sempre. Sorrise a quel sorriso.
Ecco la mia "terra", dove scaricarmi. Sono le persone. Quelle che a me ci pensano. Quelle che ancora hanno l'empatia necessaria a comprendermi. Quelle che mi strappano un sorriso quando vorrei solo piangere e urlare. E di questi tempi non se ne trovano tante...








"Le parole sono, nella mia modesta opinione, la nostra massima e inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo" Albus Silente

venerdì 13 marzo 2020

Pensiero mattutino

Mutek si svegliò. Era il quarto giorno di quarantena. Tutto gli sembrava surreale. Il mondo era fermo, la sua testa no. Oggi avrebbe dovuto festeggiare. Con lei. Ma in tempi di clausura forzata anche quell'occorrenza sarebbe stata rimandata a tempi più felici. 
Devo far tesoro di questa cosa, si disse poco convinto. Devo imparare a prendere coscienza di me e dei confini del mio corpo, della mia azione. Devo smetterla di farmi travolgere dalla sindrome di Superman e accettare di non poter provvedere a tutto e a tutti. Ciò non significa che farà meno male, ma già prenderne atto è un inizio di guarigione. Devo far tesoro di tutte le sensazioni brutte o belle di questi giorni. Analizzarle. Metterle nella loro casella. E distaccarmene. È un mettere in ordine. Trovare a tutto un posto. E forse allora troverò la chiarezza che mi serve. Forse no. 
Il mondo per i prossimi 20 giorni è tutto qui. Nella mia casa. Nella mia stanza. Nella mia testa. Se non voglio impazzire devo sistemare il casino che c'è, quello fuori e quello dentro. 
Cominciamo con la scaletta delle cose da fare. Cominciamo col farci una doccia, cambiare pigiama e lenzuola. Prendiamo aria dal terrazzo e osserviamo questo pezzo di periferia così assurdamente deserto e silenzioso. 
Non era vero silenzio. Sentiva, se allungava l'orecchio, lo svolgersi delle vite dentro le case. Tapparelle che si alzano, tg che diffondono paure, sciacquoni tirati, qualcuno che fa uscire dalla finestra le note di una canzone pop anni '80. Da qualche parte, gli uccellini cinguettavano e un loppide abbaiava all'aria. 
Manca poco più di una settimana a primavera, pensò mentre rientrava, lasciando con riluttanza il metro quadro e mezzo del balcone. 
La primavera. La sua stagione preferita. Aveva sempre grandi speranze all'arrivo della bella stagione. Doveva aspettare ancora venti giorni per godersela appieno. Il primo sole. Le margherite nei prati. L'aria tersa e le risate dei ragazzini. Ridono sempre i ragazzini. È una cosa tipica loro. I bambini piccoli corrono. I ragazzini ridono. E io? Io sono un uomo e rispetto i canoni della società. Io non rido col primo caldo della primavera. Non mi faccio inebriare dal profumo delle erbe, né dagli ormoni risvegliati. Io… Io sono un idiota che aspetta a gloria di poter uscire di nuovo. Io sono quello che sogna il primo gelato della stagione. 
E mentre pensava a quel gelato, chiuse la porta finestra e tornò alle sue incombenze.

Alla sera

Forse perché della fatal quïete

tu sei l'imago a me sì cara vieni

o sera! E quando ti corteggian liete

le nubi estive e i zeffiri sereni,


e quando dal nevoso aere inquïete

tenebre e lunghe all'universo meni

sempre scendi invocata, e le secrete

vie del mio cor soavemente tieni.


Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme


delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre io guardo la tua pace, dorme

quello spirto guerrier ch'entro mi rugge