domenica 5 agosto 2012

Nuova carriera n. 3


Artemisia si affrettò a salire sull’auto  insieme a Severo e allo stalliere, Fernando, un ragazzino di 12 anni che parlava poco con le persone, ma sapeva intendersi a meraviglia con gli animali.
La strada bianca che portava alla città passava in mezzo ai campi e la ragazza cercò di immaginarsi come dovesse essere quel paesaggio ai tempi della nonna, anche se a stento ci riusciva. Le colline circostanti coltivate a cereali e vite, le sembravano bellissime: sapevano di casa, perché in fondo ci era cresciuta; ma la nonna diceva che quando lei era giovane erano molto più belle, perché all’orizzonte non si vedevano tutte quelle ciminiere, né i tralicci, né tantomeno le torrette di raffreddamento delle centrali nucleari. La città invece era sempre stata là ed era estremamente bella, la più bella del mondo, diceva la nonna, che vi era nata e cresciuta.
Anche quella aveva provato ad immaginarsela più di una volta, ma era piuttosto difficile: nel villaggio dove viveva e lavorava non c’erano immagini di com’era e le foto che aveva la nonna in casa non le aveva più trovate dopo la sua morte: scomparse in seguito a un saccheggio ad opera di “sciacalli”, insieme al poco oro che la donna possedeva e a molti dei suoi abiti più belli.
L’auto, finalmente, si fermò davanti alla garitta del portale principale di Flos Eycarpia, detto “Porta dell’Iris” (ogni ingresso portava il nome di un fiore, in memoria dell’antica denominazione della città) e il militare, puntando loro contro un mitra, chiese malamente a Severo: “Fornisci generalità, scopo della visita e lasciapassare...”. Il guardiano si affrettò a consegnargli i documenti, dicendo “Severo da Pozzolatico, guardiano presso la tenuta di Bramante Ardinghi. Mi accompagnano lo stalliere Fernando e la bracciante Artemisia. Siamo venuti per comprare stoffe al mercato e…”.
“Basta, basta…” disse il militare “non mi tediare oltre…entrate, prima che cambi idea… Voi villici parlate sempre troppo, anche quando non vi è richiesto…”.
Attraversarono l’arcata in acciaio della porta e si inoltrarono nella città: subito il fetore dei vicoli salì alla gola di Artemisia che pensò “Sarà anche stata la città più bella del mondo, ma puzza parecchio…”; ma poi l’attenzione della ragazza venne rapita, come sempre, dalle centinaia di persone che affollavano le strade: la gente di città camminava velocemente, senza quasi guardare dove metteva i piedi e ignorando, almeno apparentemente, chi gli stava d’intorno, ma sempre a testa alta. Artemisia ammirava quelle persone, quegli strani esseri che indossavano abiti bizzarri e variopinti, perché sembravano fatti di una pasta diversa dalla gente di campagna: anche i più poveri tra loro, perfino i mendicanti, sembravano essere comunque fieri ed orgogliosi del loro status e non chinavano mai la testa di fronte a nessuno, nemmeno sotto le manganellate delle guardie. Era una strano modo di approcciarsi alla vita, che Artemisia ricordava di aver visto solo in sua nonna e che era difficile da descrivere…in ogni caso quella gente pretendeva rispetto e veniva spontaneo darglielo…Sapeva che c’era una parola con la D che la nonna usava per riferirsi a tale atteggiamento, ma in quel momento proprio le sfuggiva…
Arrivarono al mercato principale, attraversando un ponte di corde e assi di legno sospeso sul fiume, un corso d’acqua verdastro e maleodorante, e si diressero al settore delle stoffe. Severo le disse: “Vedi di far in fretta… Allora sono tre balle di lana e 5 cubiti di seta…abbiamo 50 plut a disposizione…devono bastare, anzi, possibilmente avanzare…poi dai ti lascio andare a fare un giro…” e sorrise… 
“Non so se basteranno, a dir la verità…ma ci provo…la signora del banco là in fondo mi conosce…magari tiro un po’ sul prezzo…che colore prendo? La lana bianca…e la seta carta di zucchero, come vuole sempre il padrone?”
“Eh sì…ne dubitavi? Al padrone piace il blu…anche se non va più di moda da almeno dieci anni…ma lui dice che gli s’avvisa bene…eheh…”
Artemisia si avvicinò al banco e chiese all’abbondante barrocciaia quello che le serviva e dopo una ventina di minuti, tornò da Severo e Fernando con la lana e la seta sottobraccio e un sorriso trionfante sulle labbra: “36 plut e 20 pauperi…sono stata brava, eh? Questo è il resto… Ora posso andare a fare un giro…vero??”
“Vai, vai…mi raccomando…all’ora sesta devi essere qui, chiaro? Non crederai mica di saltare tutta la giornata nei campi?”
“Sarò puntuale…giuro…volo…” e già era mezza scomparsa tra la folla di Flos Eycarpia…

Alla sera

Forse perché della fatal quïete

tu sei l'imago a me sì cara vieni

o sera! E quando ti corteggian liete

le nubi estive e i zeffiri sereni,


e quando dal nevoso aere inquïete

tenebre e lunghe all'universo meni

sempre scendi invocata, e le secrete

vie del mio cor soavemente tieni.


Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme


delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre io guardo la tua pace, dorme

quello spirto guerrier ch'entro mi rugge