mercoledì 15 settembre 2021

New way

 "Mi avevi promesso che ce l'avremmo fatta... Mi hai fatto sperare..."

"Ho fallito. Lo so. Perdonami. Non sono la Lanterna che credevi..."

"Perché sei di più. E questa volta non c'entra la volontà, c'entra l'amore... Certo. Forse non mi avrebbe fatto schifo un po' di speranza..."

"Scusami... Non sono quell'eroe che credevi. Sono più umano di quel che vorrei..."

"E sei meraviglioso!"

"Come puoi pensarlo? Come? Ora che stiamo dando il via alla distruzione del Multiverso?"

"Sì, ma sai bene che dopo ogni crisi c'è un reboot..."

"Che vuoi dire? Credi che possiamo ricominciare?"

"Magari non nella stessa maniera di adesso....magari in un'altra forma. Magari con muove versioni di noi... Coi nostri doppel ganger. La crisi forse riunirà tutte le versioni in una... E tu sai che comunque vada io sarò sempre pronta a correre a casa da te..."

"Mi stai dicendo di applicare a noi il principio di Lavoisier? Noi non siamo materia. Non ci possiamo solo trasformare..."

"Vero. Noi siamo materia ed energia. Noi possiamo tutto. Siamo creatori e creature. Autori, protagonisti e lettori. Noi abbiamo in mano le nostre storie. Noi possiamo plasmarle..."

"Come puoi essere così calma?"

"Oh, non lo sono affatto. Ma per una vita sei stato calmo al posto mio quando non lo ero. Per una volta voglio essere io la roccia, l'appiglio, l'ancora...."

"Lo sei sempre stata... Il mio porto sicuro"

"E lo resterò, ma ora hai bisogno di altri approdi. Sei come Ulisse, tu non puoi fermarti, per quanto ami Penelope... Tu sei oltre..."

"Mi sembra di star andando senza bussola, senza sestante e senza astrolabio...."

"Per questo hanno inventato il GPS!"

"Smettila di farmi ridere... Stiamo per lasciarci, porca miseria!"

"Sì... Ma vederti ridere mi evita di piangere anche io.... Non c'è niente di più bello della tua risata... O forse sì, ma mi voglio godere quella...."

"Ce la faremo? A ricominciare da capo, come persone diverse... Riusciremo davvero?"

"C'è mai stato niente che insieme non potessimo fare?"




















martedì 23 giugno 2020

Senza titolo.

Mutek la guardava senza dire niente. La sua Wonder Woman aveva lo sguardo triste.

“Mi dispiace tanto…”

“Non è colpa tua…”

“Beh… e di chi allora?”

“Di nessuno. Sei quello che sei e non ci possiamo fare niente. E in fondo l’ho sempre saputo. Che eri diverso dagli altri, che eri una bomba pronta a scoppiarmi tra le mani. Non me lo hai mai nascosto…”

“Ma per me non cambia poi molto… Anzi: non è cambiato niente, alla fine…”

“Lo so. Per certi versi è così anche per me. Ti guardo e non vedo problemi. Poi, però, rimango sola e… penso. Che è cambiato tutto, che ti capisco, ma non so se sono in grado di farlo fino in fondo. Mi sento presa in giro, anche se so che non era tua intenzione. Come se fosse stato tutto una menzogna. Almeno gli ultimi mesi…”

“Ma io non ti ho mai mentito… non ho mai dubitato del nostro amore, dei nostri progetti, del nostro futuro…”

“Oh, ma ne dubito io, ora. Tu sei speciale, sei fantastico, sei… forse troppo. Troppo per una persona abitudinaria come me. Io amo la stabilità, le consuetudini…”

“Ma ne abbiamo passate tante insieme!”

“Tantissime, ma ogni volta mi aggrappavo al nostro rapporto. Adesso non so più a cosa aggrapparmi…”

“Io sono ancora qui… Puoi aggrapparti a me. Lo so che ti senti defraudata di qualcosa, come se fossi una risorsa da condividere. Ma io sono qui, per te, tutto intero e… se lo vorrai, ci sarò sempre!”

“E che, non lo so? Tu non molli mai. Ti ammiro tanto. Per la forza che hai avuto a rivoluzionare la tua vita, a metterti in gioco, a rischiare tutto… solo per amore. Però allo stesso tempo non so cosa fare, mi sento persa. Questo nuovo assetto mi spaventa…”

“Spaventa tanto anche me… è tutto nuovo…”

“Già…”

“Però questa cosa non toglie niente al tempo trascorso insieme. Vorrei che potessi viverla come un arricchimento, non come una sorta di furto ai tuoi danni…”

“Lo vorrei anche io. Oppure vorrei odiarti, urlarti contro, dirti di andartene per sempre dalla mia vita. Ma non ci riesco, perché sei la cosa più bella che mi potesse capitare…”

“SIAMO la cosa più bella…”

“Siamo ancora, nonostante tutto?”

“Non eri fissata, a tuo modo, con una certa “trinità”?”

“Il solito scemo che gioca sporco e riesce a farmi ridere… Ti odio e ti amo. E non so se ce la faremo, stavolta…”

“Nemmeno io. Ho una paura enorme… Ma non devo dirti io come si sconfigge la paura…”

“Insieme?”

“Sì, ma non solo… con la volontà…”

Lei sorrise tra le lacrime e lui, osservando quei meravigliosi occhi azzurri, pensò agli ultimi giorni e alle emozioni che avevano provato e si disse che, in fondo, se il rosso era la Rabbia, il giallo la Paura, il Verde la volontà, il blu era il colore della Speranza.


martedì 2 giugno 2020

Lettera alla ragazzina che ero



Di recente mi sono capitate per le mani delle foto di me da adolescente. Ero una bella ragazza, con un sorriso contagioso e un cervello che riusciva, bene o male, a evitare la tempesta ormonale, almeno quanto bastava per non essere una completa idiota. Certo, ero imbecille lo stesso. Ma chi non lo è a quell'età? 

La cosa che mi colpisce maggiormente è vedermi bella. Perché valuto dall'esterno con gli occhi di una trentenne che ha imparato, almeno un po', a conoscere il mondo e le persone. All'epoca non mi vedevo bella. E nessuno mi aveva mai detto che lo fossi. Anzi. Ma rispetto a ora sicuramente si notano le occhiaie, i chili e i capelli bianchi in meno. Ero sempre in lotta col mondo (e quello forse non è cambiato), ostentavo una sicurezza che non avevo e sapevo fingere cinismo per nascondere una fragilità, che oggi, a pensarci, fa paura. Viaggiavo su una strada pericolosa, sempre sul filo. E soprattutto mi facevo usare. Perché? Non ero scema, ma non avevo autostima. Tanto che potevo passare dall'essere al centro dell'attenzione ad esser "tappezzeria". Nel mio egocentrismo mi pesava da morire questa cosa. L'essere ignorata, il passare inosservata. Non ero sola, certo… non nel senso vero del termine. Ma mi ci sentivo. E quindi tentavo di adeguarmi a standard che mai sono stati i miei. Ero una ragazza che leggeva, odiava le ingiustizie e non amava i locali. Ma spesso tentavo di conformarmi, diventando la pallida imitazione di chi in quegli standard ci stava alla perfezione. Tutto mi stava stretto, dai vestiti (sebbene fossi una invidiabilissima, oggi, taglia 44 con tutte le forme al posto giusto), agli ambienti, alle persone… a pensarci oggi, mi fa tanta compassione quella versione di me. Non mi mancava nulla per esser quella che volevo, ma io non ero capace di vedermi. E, oggi, con le mie ernie, i miei chili di troppo, i miei capelli bianchi, il mio caratteraccio, il mio snobismo, sono comunque una trentenne felice e vorrei poter avere una DeLorean per andare indietro di 13 anni e dirmi "Quanto sei bella, Ali, dentro e fuori!". Mi risparmierei i pianti, le delusioni, i dolori, le compagnie sbagliate, le notti insonni con gli attacchi di panico e i pomeriggi a guardare il soffitto. E poi mi starei vicina nei momenti bui. Quei momenti dove ero io a star vicina agli altri, a far da parafulmini e da roccia per tutti e poi mi ritagliavo il mio angolino di silenzio per sfogar le mie lacrime. Da sola. Quanto bene mi avrebbe fatto un abbraccio in quei momenti! Quanto bene mi avrebbe fatto l'essere educata anche ai complimenti e non solo alle critiche! Quanto avrei voluto avere qualcuno che mi aiutasse nei miei percorsi di accettazione delle mie "diversità"!

Ma indietro non si può tornare e tutte le mie esperienze, belle o brutte che siano state, mi hanno portato ad essere quella che sono oggi. Certo, mica mi sento sicura su tutto. Ma per lo meno sono pressoché stabile, nelle mie competenze professionali, come nelle mie relazioni con le persone. So valutare gli altri per ciò che sono, so esprimere i miei sentimenti, so difendermi da chi vuol ferirmi. E anche gli altri lo percepiscono. E mi vedono più bella, più intelligente e matura di quanto io sia. 

E chi devo ringraziare per tutto questo? Sicuramente chi mi è stato e mi è accanto. I miei affetti sono il carburante per la mia voglia di vivere. E poi… proprio quella ragazzina testarda e ostinata, che, nonostante tutto, non si è mai arresa. A te, Alice, adolescente arrogante e insicura, devo tantissimo. E, per fortuna, porto sempre con me una parte di te, quella più forte.


mercoledì 25 marzo 2020

DANTEDI' - 25 marzo 2020

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sabato 14 marzo 2020

Parafulmine

Mutek era stanco. Ancora una volta si trovava l'anima lacerata, gli occhi in fiamme, lo stomaco ridotto a una nocciolina. 
Le parole, da lui sempre misurate, pesate, centellinate, gli altri le usavano come le mascherine vengono usate in quarantena. Senza riguardo, senza attenzione, come quando si lancia il sacchetto dell'umido nel cassonetto. Come quasi se ne volessero allontanare, come se gli facessero schifo, le lanciavano così come pietre. Loro lapidatori, io novella Maddalena, di nuovo pensava a quanto fosse ingiusto.  Quanto le attenzioni che riservava lui agli altri, venissero dagli stessi calpestate quando si trattava di usarle nei suoi confronti. Per tutti era normale riversargli addosso insicurezze, paure, tristezza...
Era un parafulmine. E quando però stava male lui? Su chi avrebbe scaricato la tensione? Su cosa scaricano i parafulmini? Direttamente a terra. 
Io, che sono un parafulmine umano devo ancorarmi bene a terra, quindi, pensò osservando le coreografie degli storni al tramonto sulle case in lontananza.
Di cosa è composta la mia messa a terra? Benjamin aiutami tu!
Ripensava all'importanza che la specie umana aveva dato da sempre al linguaggio, tanto da farne una forma d'arte. "In principio era il Verbo". Già. Le parole. Per secoli, millenni, e ancora oggi in alcune culture, si è attribuito ad alcune parole un significato magico, di guarigione o maledizione. Sono fatti di parole gli incantesimi e le preghiere, e la cultura classica ne ha creato movimenti filosofici e ha insegnato il loro uso nelle scuole. Che direbbe Cicerone della pochezza e l'approssimazione con le quali oggi si usa il linguaggio? E Gutemberg, che ha inventato un modo nuovo per diffonderle a tutti? 
Mentre pensava a questo, con amarezza, scorreva le foto sul suo dispositivo elettronico di comunicazione. Gliene passò davanti una in cui era sorridente. Non era da solo in quella foto e, infatti, era felice. Per un secondo si vide anche bello, al contrario di come gli capitava sempre. Sorrise a quel sorriso.
Ecco la mia "terra", dove scaricarmi. Sono le persone. Quelle che a me ci pensano. Quelle che ancora hanno l'empatia necessaria a comprendermi. Quelle che mi strappano un sorriso quando vorrei solo piangere e urlare. E di questi tempi non se ne trovano tante...








"Le parole sono, nella mia modesta opinione, la nostra massima e inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo" Albus Silente

venerdì 13 marzo 2020

Pensiero mattutino

Mutek si svegliò. Era il quarto giorno di quarantena. Tutto gli sembrava surreale. Il mondo era fermo, la sua testa no. Oggi avrebbe dovuto festeggiare. Con lei. Ma in tempi di clausura forzata anche quell'occorrenza sarebbe stata rimandata a tempi più felici. 
Devo far tesoro di questa cosa, si disse poco convinto. Devo imparare a prendere coscienza di me e dei confini del mio corpo, della mia azione. Devo smetterla di farmi travolgere dalla sindrome di Superman e accettare di non poter provvedere a tutto e a tutti. Ciò non significa che farà meno male, ma già prenderne atto è un inizio di guarigione. Devo far tesoro di tutte le sensazioni brutte o belle di questi giorni. Analizzarle. Metterle nella loro casella. E distaccarmene. È un mettere in ordine. Trovare a tutto un posto. E forse allora troverò la chiarezza che mi serve. Forse no. 
Il mondo per i prossimi 20 giorni è tutto qui. Nella mia casa. Nella mia stanza. Nella mia testa. Se non voglio impazzire devo sistemare il casino che c'è, quello fuori e quello dentro. 
Cominciamo con la scaletta delle cose da fare. Cominciamo col farci una doccia, cambiare pigiama e lenzuola. Prendiamo aria dal terrazzo e osserviamo questo pezzo di periferia così assurdamente deserto e silenzioso. 
Non era vero silenzio. Sentiva, se allungava l'orecchio, lo svolgersi delle vite dentro le case. Tapparelle che si alzano, tg che diffondono paure, sciacquoni tirati, qualcuno che fa uscire dalla finestra le note di una canzone pop anni '80. Da qualche parte, gli uccellini cinguettavano e un loppide abbaiava all'aria. 
Manca poco più di una settimana a primavera, pensò mentre rientrava, lasciando con riluttanza il metro quadro e mezzo del balcone. 
La primavera. La sua stagione preferita. Aveva sempre grandi speranze all'arrivo della bella stagione. Doveva aspettare ancora venti giorni per godersela appieno. Il primo sole. Le margherite nei prati. L'aria tersa e le risate dei ragazzini. Ridono sempre i ragazzini. È una cosa tipica loro. I bambini piccoli corrono. I ragazzini ridono. E io? Io sono un uomo e rispetto i canoni della società. Io non rido col primo caldo della primavera. Non mi faccio inebriare dal profumo delle erbe, né dagli ormoni risvegliati. Io… Io sono un idiota che aspetta a gloria di poter uscire di nuovo. Io sono quello che sogna il primo gelato della stagione. 
E mentre pensava a quel gelato, chiuse la porta finestra e tornò alle sue incombenze.

martedì 9 ottobre 2018

On the tightrope

L'altalena. L'altalena è un'enorme metafora della vita: un momento ti sembra di poter toccare le foglie degli alberi, le nuvole, le scie degli aerei, il momento dopo sei vicino a terra e devi stare attento a metter bene i piedi se non vuoi farti male. Questo pensava Mutek mentre osservava fuori dalla finestra dei bambini che giocavano nel parco. Facevano la coda per ogni gioco, uno dei primi esempi di convenzione sociale, di civiltà, a cui siamo sottoposti: la fila per lo scivolo. C'era sempre, certo, il bambino più prepotente che si faceva largo a spintoni, ma non sempre riusciva. Gli altri, a volte, lo bloccavano, oppure lo faceva il karma, quando, troppo spavaldo, scivolava giù di piedi e lasciava un dente sul tappetino di ecoplastica. Il mondo dei bambini può esser molto simile a quello naturale, che la specie umana pensa di essersi lasciata alle spalle col Neolitico. Poveri illusi!
E mentre guardava i bambini, pensava a se stesso, a quanto altalenante, appunto, riusciva ad essere il suo umore, il suo punto di vista sul mondo. Pensava alla voglia di lasciare tutto, scappare, mandare a quel paese ogni cosa che conosceva, lasciarsi i fantasmi alle spalle, col solo conforto della sua Wonder Woman, accanto. Ce l'avrebbero fatta, da soli? "Tanto, soli, per soli... meglio esserlo davvero...". A ripensarci, no. Non potevano farcela. E non perché non ne avessero i mezzi, ma perché quel loro essere, così dannatamente soli, diversi, in guerra col mondo, faceva parte di loro. Sapeva che altrove non sarebbero stati felici fino in fondo, seppur lontani dai casini. O se ne sarebbero creati di nuovi, o sarebbero tornati sui loro passi. "Perché, che ci piaccia o no, siamo anche il nostro malessere e le nostre insofferenze, siamo il nostro dolore, la nostra insicurezza, la nostra rabbia e la nostra idiosincrasia. Come siamo la nostra voglia di lottare, la nostra sete di giustizia. Nessun eroe rinuncerebbe ad essere quel che è, a indossare il suo mantello, anche se sa che la guerra è persa in partenza."
E quindi doveva restare, per necessità intrinseca al suo modo di essere. E soffrire. E voler scappare. E poi rinunciare a scappare. E poi esser felice. E farsi solleticare dalle illusioni del mondo. Sentirsi amato. Sentirsi odiato. Sentirsi incompreso. Sentirsi insicuro, instabile. Guardare quegli occhi di cielo e sentirsi protetto. Così, costantemente come l'equilibrista, sul filo del rasoio, sul ciglio di un burrone, annaspando con le mani per trovare un equilibrio che non esiste. Solo la morte è equilibrio, è staticità, è sicurezza. La vita è un filo: a noi sta "solo" imparare a camminarci sopra.

lunedì 18 giugno 2018

Questo non è il mio paese

Ciao, mi chiamo Alice, sono italiana e oggi mi sono svegliata in un altro paese. 
Non il mio, certamente.
In questo paese, dove mi sono ritrovata per caso, il Ministro dell'Interno fa anche da premier, Ministro della Difesa ecc.
In questo paese avrei paura ad avere un figlio omosessuale, non perché la cosa sia un problema in sé, ma perché in questo posto maledetto gli omosessuali vengono derisi o picchiati.
In questo paese il Ministro sopracitato propone il censimento dei rom, un po' come in Germania nel 1938 fecero con gli ebrei.
In questo paese si lasciano in balia delle onde 629 disperati che tentano di trovare una vita migliore.
In questo paese tv, giornali, ministri e gente comune sono convinti che il problema principale siano i migranti, senza pensare a corruzione, mafia, disoccupazione giovanile...
In questo paese l'ignoranza è sdoganata, non si crede né nella scienza né nelle istituzioni.
In questo paese gli immigrati li pagano 2 euro al giorno per raccogliere i pomodori, poi si lamentano che "rubano il lavoro" agli abitanti locali.
In questo paese se una ragazza viene stuprata da un bianco "se l'è cercata", ma se a stuprarla è un nero, allora condannano tutti i neri.
In questo paese se dei rom causano un incidente mortale si grida allo scandalo, ma se un africano viene ammazzato con sei pistolettate nessuno ne parla.
In questo paese la gente prega un dio misericordioso e caritatevole, ma vorrebbe bruciare tutti i diversi.
In questo paese si grida "assassina" alla donna che abortisce, ma poi si augura la morte per annegamento dei migranti sui barconi.

In questo paese i fascisti sono al governo, anche se non hanno la camicia nera, ma verde.

Fa proprio schifo questo paese, non è certamente il mio. 
Non è il paese dove sono nata, dove sono cresciuta, il paese che amo. 
Questo è un paese dove non auguro a nessuno di svegliarsi domani e dove io non vorrei affatto vivere.

martedì 12 giugno 2018

Aquarius, la nave, non il segno zodiacale

Seguo con ansia la vicenda delle 629 persone tenute in ostaggio dal governo del mio paese. E non dico "tenere in ostaggio" a caso. Quelle persone sono infatti allo stremo, i viveri e l'acqua cominciano a scarseggiare, qualcuno ha bisogno di cure mediche... Ma per la politica, nostrana ed europea, questo non conta. No: le vite umane da tempo non contano. Non prendiamoci per le mele: sappiamo tutti che alla maggior parte della gente la sopravvivenza di altri esseri umani, soprattutto se poveri, non interessa. e questo vale per la gente comune, figuriamoci per chi vive in campagna elettorale perpetua come il nostro neo Ministro degli Interni. Ieri, leggendo i commenti sui social, mi sono domandata: come siamo arrivati a questo punto?
Beh credo che le principali cause possano essere elencate facilmente:
- Immobilismo e lassismo della politica mondiale democratica nei confronti di movimenti populisti, fascisti, xenofobi che pian, piano si sono presi indisturbati media e cervelli delle persone
- politica economica postcoloniale nei paesi "in via di sviluppo" (termine per indicare che no, non si svilupperanno mai, almeno finché comanderemo no, che vengono sfruttati al massimo, impoveriti, costretti a farsi la guerra, lamentandoci poi se vengono a migliaia coi barconi sulle nostre coste
- incapacità dell'Europa di avere un vero obiettivo a lungo termine comune: ognuno fa i propri interessi, l'UE è diventata un'allenza di burocrati, nemmeno tanto solida.
- sinistra inesistente o morente

Ecco: il gioco è fatto. In pochi anni siamo arrivati a quest'epoca dove ignoranza e violenza sono sdoganate, nessuno crede più nelle istitituzioni democratiche, la guerra fra poveri (o fra chi si crede tale e chi lo è davvero) è pane quotidiano.

Credo che sia l'ora di invertire la rotta. E velocemente. Altrimenti non ci aspetta un futuro roseo, ma nero. E non solo per l'atmosfera.

martedì 6 febbraio 2018

La speranza è come l’alba. Se ci credi solo quando la puoi vedere non supererai mai la notte.

Mutek si stupì della banalità della sua epifania. Ma era sempre stato tutto lì, davanti ai suoi occhi, e lui non se ne era mai reso conto. Adesso vedeva il quadro generale, come se avesse avuto un'illuminazione divina. Era ovvio, palese, lapalissiano. Siamo tutti granelli di sabbia della stessa spiaggia, in balia delle correnti di terra e di mare. Può essere spaventoso a pensarci, ma non è così negativo come può sembrare a un occhio annebbiato, come era sembrato anche a lui pochi istanti prima. Granelli di sabbia. Così come la vita è fatta di infiniti istanti, la materia di infiniti atomi, lo spazio di infiniti pianeti. Siamo parte del tutto, ingranaggi di un sistema, non poi così immodificabile come si potrebbe pensare. Nessuno darebbe importanza alla farina, o a un uovo, posato su un tavolo, ma quanto è buona una torta! Eppure è formata da tanti ingredienti, che a una prima impressione sono insignificanti, banali, scontati. E invece se li combini, in modi diversi, in dosi diverse, cambia qualcosa: è sempre una torta, ma un po' differente da quella precedente, da quella successiva, da quella della vicina. Così come accade all'umanità: tutti Homo sapiens, tutti diversi. Stessi ingredienti, una torta diversa. Certo è, però, che una torta senza ingredienti non la puoi fare! Una molecola lipidica senza catene di CH2 nemmeno. Non puoi scrivere una poesia senza parole. Una persona senza ideali, esperienze, emozioni, che cos'è?

"Sono le cose piccole che fanno quelle grandi!" si disse Mutek, vergognandosi quasi dell'ovvietà di quello che aveva pensato! Eppure, fino a poco prima non lo aveva capito. Si sentiva troppo piccolo per lottare contro ciò che gli stava capitando, troppo inutile, da solo. Un uomo nella moltitudine, che poteva fare? Se fosse sparito, nessuno avrebbe notato che non c'era. Un minuscolo ingrediente in dose miserrima  nell'impasto dell'Universo, a che serviva? 
Invece serviva, come la buccia di limone tritata fa una pasta frolla migliore, anche se non la vedi. Ma se non c'è, noti la differenza. Forse lui non poteva essere una torta intera, ma poteva essere scorza di limone, spolverata di zucchero a velo, aroma di stecca di cannella. Era poco? Forse. Ma era necessario, imprescindibile che ci fosse. E non era certo con la sua assenza che avrebbe migliorato la ricetta generale! Anzi. Decise quindi che avrebbe fatto il suo dovere di ingrediente, anche al costo, alle volte, di essere dimenticato, usato in piccole dosi, non apprezzato dai più, come i canditi del panettone. Avrebbe preso la responsabilità di arricchire la ricetta, lo doveva alla ricetta stessa, in quanto annoverato nella lista degli ingredienti, e lo doveva a se stesso, per la dignità di essere un ingrediente, seppur piccolo, ma essenziale.

"Noi siamo la scintilla che appiccherà il fuoco... Già: me lo hanno detto tutti e io non l'ho capito! Perché essere piccoli è dura da accettare, soprattutto in un mondo di "grandi". Ma il fuoco non si appicca senza scintille! Io sarò scintilla, candito, noce moscata, ingrediente segreto, difetto del reticolo cristallino, incongruenza, crepa... sarò quello che serve! Che poi è tutto quello che posso  e che devo essere!"


Alla sera

Forse perché della fatal quïete

tu sei l'imago a me sì cara vieni

o sera! E quando ti corteggian liete

le nubi estive e i zeffiri sereni,


e quando dal nevoso aere inquïete

tenebre e lunghe all'universo meni

sempre scendi invocata, e le secrete

vie del mio cor soavemente tieni.


Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme


delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre io guardo la tua pace, dorme

quello spirto guerrier ch'entro mi rugge