venerdì 8 novembre 2013

L'invincibile armata...

La stanchezza cominciava a farsi sentire sempre più insistente: era una stanchezza fisica e mentale. Si disse che non poteva andare avanti così, con le scarpe ormai ridotte a un involucro liso, prive di suola, tenute insieme da uno spago sfilaccicato... Gli abiti erano laceri e zuppi d'acqua, ogni passo le pesava sulle gambe a pezzi, sui piedi pieni di vesciche, sulla schiena incurvata. 
Eppure era giovane e, quando era partita, era anche forte, coraggiosa, indomita... No, forse questo era solo quello che appariva, grazie all'armatura scintillante sempre tirata a lucido, il sorriso beffardo sulla faccia e quell'aria di superiorità che faceva abbassare gli occhi ai più. Era rispettata, stimata e temuta, non solo per il coraggio e per l'ardore in battaglia, ma anche perché sembrava incapace di perdere. E anche se perdeva, non sembrava mai sconfitta: le restavano la boria e l'arroganza dei vincitori, date dalla consapevolezza di essere nel giusto, sempre e comunque. Se ti concedeva un round, a quello seguente ti avrebbe fatto mangiare la polvere e ti saresti sentito l'ultimo dei rifiuti sulla Terra. La logica dei suoi argomenti era ferrea, schiacciante e vincente, tanto da confondere chiunque, da farti sentire in torto, anche se non lo eri. Le sue parole erano sferzanti, i suoi giudizi pesavano come pietre tombali e tu ne rimanevi schiacciato, incapace di obiettare davanti a cotanta sicurezza. Non era bella secondo i canoni prestabiliti dalle consuetudini, ma sapeva affascinare quando voleva. I capelli sempre in disordine, la scarsa attenzione nell'abbigliamento, il rifiuto per gli orpelli potevano far credere che mancasse di femminilità, ma chi la sentiva parlare si ricredeva subito: era una donna, una donna forte, decisa, sicura di sé, che sapeva esser donna senza imitare gli uomini per sembrare più forte.
In pochi avrebbero riconosciuto quella Bradamante moderna nella ragazza cenciosa che si trascinava per le strade, senza meta apparente, con lo sguardo perso nel vuoto e perennemente scossa da brividi, se di freddo o di paura era difficile dirlo. Com'era arrivata a ridursi così? Impossibile stabilirlo con certezza: semplicemente un giorno aveva conosciuto un cavaliere rivale e lo aveva sfidato, certa come sempre di vincere. Ma l'avversario si era rivelato più forte e più scaltro del previsto ed erano arrivati a una situazione di parità, mai verificatasi prima. E fu così che l'intrepida combattente, che non credeva nell'amore, cadde, cedette e s'innamorò. E scoprì una parte di mondo che mai avrebbe immaginato, un mondo dove le battaglie cominciavano a parole e finivano in baci, dove le conoscenze che aveva sempre ostentato, potevano finalmente essere condivise ed arricchite. Col tempo dismise il suo atteggiamento sulla difensiva e si ammorbidì, allentando i legacci dell'armatura che le sembrava ormai un peso inutile: non aveva bisogno di vestirsi di arroganza e di falsa sicurezza quando era sorretta e protetta da quell'amore folle e totalizzante per il suo cavaliere. Mai si era sentita così invincibile, mai aveva provato meno paura, mai si era sentita così al sicuro. Era un periodo eccezionale e, a poco a poco, cominciò a dedicarsi ad attività più edificanti e rilassanti dei combattimenti, a meno che non li facesse insieme a lui. 
Ma fu proprio al culmine della sua felicità, che i nemici la attaccarono alle spalle: l'insicurezza, i rapporti lacerati, le controversie familiari, i fallimenti negli studi e il peggiore di tutti, la PAURA. Essa si insinuò nelle parti del corpo lasciate libere dall'armatura e cominciò a scardinarla, pezzo dopo pezzo: ogni giorno sembrava più ammaccata, più arrugginita, più fragile. All'inizio lei non ci fece più di tanto caso: aveva affrontato mille battaglie e ne era sempre uscita, perché preoccuparsi? Ma la sfida col signore della paura, non si giocava a carte scoperte: Parallax (così qualcuno lo chiamava), o Gmork (per altri), era un avversario subdolo, che giocava sporco e riusciva a ingannarti, facendoti credere cose inesistenti. La ragazza cadde nella trappola cominciando a credere realtà le pallide ombre che l'infido essere le proiettava davanti e il dubbio le se insinuò nella mente. Cominciò a perdere fiducia negli altri e in se stessa e a desiderare uno scontro finale, dove avrebbe potuto trovare il riposante "nulla eterno". Il vaso di Pandora della sua anima era stato aperto e nel caos non sempre riusciva ad aggrapparsi alla speranza. 
Per questo si era ritrovata su quella strada, ormai allo stremo, incapace di reagire... E il cavaliere, direte voi, che fine aveva fatto? Ah lui c'era. SEMPRE: fin dai primi istanti l'aveva aiutata a combattere contro Parallax, ma non era facile. Tutte le volte che lei cadeva, andava a recuperarla, ma ad ogni scontro era sempre più debole e lui faceva più fatica a trarla in salvo. Anche quella volta arrivò: "Amore mio che ci fai qui tutta sola? E' tutto il giorno che ti cerco... Dai vieni ti porto a casa, prendiamo un tè,creiamo nuovi mondi. Che fai lì per terra? Hai bisogno di un bagno caldo, avanti.."
"Lasciami qui: non servo più a nessuno, sono ridotta a un rottame, pronta per lo sfasciacarrozze..."
"Ma che dici?! Sei bella come sempre, hai solo bisogno di una ripulita..."
"E se non ce la facessi ad alzarmi? Se questo scontro fosse stato l'ultimo?"
"Macché! Tu... NOI ce la facciamo sempre! Ce l'abbiamo sempre fatta, ce la faremo anche questa volta, vedrai..."
"Lo spero. Quando anche tu mi abbandonerai, lui vincerà..."
"Ma ti pare? Come fa a vincere? Hai visto quanto è brutto? Solo la nostra bellezza lo fa arretrare! La nostra onestà intellettuale, la nostra intelligenza, il nostro coraggio... Quando mai ci siamo fatti spaventare? Ci vuole dividere, perché sa che insieme siamo imbattibili: ma non ci riuscirà! Andiamo..."
Lei si alzò a fatica, lo prese per mano e lo seguì. Aveva ragione lui. Aveva perso diverse battaglie, ma non la guerra: come nel giro d'Italia, nella vita non conta chi vince più tappe, ma chi arriva primo a quella finale. E il percorso era ancora lungo...

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Alla sera

Forse perché della fatal quïete

tu sei l'imago a me sì cara vieni

o sera! E quando ti corteggian liete

le nubi estive e i zeffiri sereni,


e quando dal nevoso aere inquïete

tenebre e lunghe all'universo meni

sempre scendi invocata, e le secrete

vie del mio cor soavemente tieni.


Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme


delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre io guardo la tua pace, dorme

quello spirto guerrier ch'entro mi rugge